Anche se oggi lo spread è sotto controllo, l’umore degli investitori è imprevedibile, può mutare orientamento all’improvviso, mettendo in difficoltà gli asset ritenuti più fragili.
Un corretto approccio alla pianificazione finanziaria, basata sui diversi obiettivi, lungo il ciclo di vita dell’individuo e della sua famiglia, dovrebbe incoraggiare a spostare il baricentro dei portafogli sulla componente azionaria – che storicamente ha reso molto più dei bond, al netto di una maggiore volatilità – almeno per chi ha orizzonti di lungo termine.
I Btp al 4% sono la spina nel fianco del risparmio gestito. Quanto possa fare male, lo si legge nei numeri di Assoreti: la raccolta netta realizzata dalle imprese aderenti all’associazione, da inizio anno, è positiva per 35,6 miliardi di euro, ma il gestito vale solo 232 milioni: il resto lo fanno i titoli di stato.
E la forbice si sta allargando: a ottobre, il saldo della raccolta su fondi, gestioni patrimoniali e prodotti assicurativi e previdenziali è negativo per oltre un miliardo, a fronte di flussi positivi sull’amministrato per 4 miliardi.
C’è il rischio che questa tendenza finisca per sclerotizzarsi, portando a una nuova era dominata dai Bot People, come negli anni ’80?
Il ritorno dei Bot People
“Il rischio c’è”, ammette – in camera caritatis – il capo di uno dei 20 più grandi asset manager globali, “ma non è un rischio significativo”, precisa. Basta il beneficio del dubbio per far drizzare le antenne a chi di risparmio gestito vive. A maggior ragione perché i tassi rimarranno dove sono per un po’. Qualcuno profetizza i primi tagli da parte della Federal Reserve addirittura nel 2025. E in ogni caso, tutti gli esperti prevedono una lenta inversione di marcia: la discesa sarà molto meno ripida della recente salita.
Morale: i rendimenti sui bond continueranno a catturare l’attenzione e l’interesse degli investitori al dettaglio. Attenzione: bisogna fare bene i conti: il 4% dà nell’occhio, ma in termini reali quello che resta non è così attraente, se si pena che le ultime stime della Commissione europea vedono l’inflazione in Italia al 2,7% nel 2024, e al 2,3% nel 2025.
Certo, la performance negativa – a doppia cifra – registrata nel 2022 dai mercati azionari e obbligazionari ha lasciato uno strascico di disaffezione e sfiducia. Perché scervellarsi alla ricerca di strategie d’investimento sofisticate se posso avere un ritorno certo, efficiente dal punto di vista fiscale (anche in ottica di passaggio generazionale, con qualche aiutino, come la recente esclusione dei titoli di stato dal calcolo dell’Isee) e soprattutto “senza rischi”?
I rischi di eccessiva concentrazione del portafoglio
Questo è il punto centrale della questione. Va smontata l’idea che i Btp siano un investimento senza rischi. Tassi alti a lungo possono creare pressione sul rendimento dei titoli di stato, perché rendono più costoso il rifinanziamento del debito. Non aiuta il rallentamento del Pil, che anzi appesantisce il carico da smaltire.
È vero che c’è lo “scudo” dell’Europa. Ma in molti sollevano qualche perplessità sul funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità. Come se non bastasse, l’Italia è rimasto l’unico Paese dell’area a non ratificare le modifiche al Mes. In ballo c’è anche la partita (tesissima) sul nuovo Patto di stabilità e di crescita. Le implicazioni di tutto questo sono delicate: anche se oggi lo spread è sotto controllo, l’umore degli investitori, si sa, è imprevedibile, può mutare orientamento all’improvviso, mettendo in difficoltà gli asset ritenuti più fragili.
La volatilità del Btp
Negli ultimi 30 anni, in fasi di stress – ricorda un’analisi di Moneyfarm – i Btp sono arrivati a perdere anche oltre il 10%: è accaduto, di recente, nel 2022 e prima ancora nel 2011-2012. Investire larga parte del patrimonio finanziario in titoli di stato italiani implica una pericolosa concentrazione del rischio sull’Italia, per altro aggravata, tipicamente, da una ulteriore esposizione al medesimo rischio tramite la propria attività lavorativa o professionale e il patrimonio immobiliare.
La regola aurea della diversificazione dovrebbe essere stata almeno in parte digerita dagli investitori. Non solo. Un corretto approccio alla pianificazione finanziaria, basata sui diversi obiettivi, lungo il ciclo di vita dell’individuo e della sua famiglia, dovrebbe incoraggiare a spostare il baricentro dei portafogli sulla componente azionaria – che storicamente ha reso molto più dei bond, al netto di una maggiore volatilità – almeno per chi ha orizzonti di lungo termine.
Forse un aiuto potrebbe arrivare, nelle prossime settimane, anche dal bilancio delle performance di fine anno: l’unico a cui molti investitori continuano (con colpevole miopia) a prestare attenzione. Mentre i bond hanno deluso le aspettative, i guadagni a due cifre consegnati dalle azioni globali – vicine al 20% nel caso di Wall Street (al 5 dicembre) – potrebbero ridare un po’ di lustro alle Borse. Sarebbe un argomento in più per provare a scalfire la “spina” Btp.
Articolo tratto dal n° di dicembre di We Wealth. Abbonati subito qui per leggere ogni mese il tuo Magazine in formato cartaceo o digitale