La preferenza delle nuove generazioni pende per l’azionario, ma non manca la ricerca di esposizioni all’obbligazionario globale.
Sponda per una sempre maggiore diffusione degli etf potrà arrivare dal miglioramento della trasparenza sui costi a cui aspira la Retail Investment Strategy approvata dalla Commissione europea a fine maggio.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma gli etf (exchange traded fund, fondi passivi) hanno iniziato a fare breccia tra i giovani investitori retail europei. Una tendenza che va di pari passo con la crescente accessibilità offerta dal diffondersi delle piattaforme digitali che aiutano le nuove generazioni ad approcciarsi agli investimenti attraverso strumenti semplici da comprendere quali i pac (piani di accumulo) in etf.
Fondi passivi: un trend emergente
Secondo Pwc la domanda di etf da parte dei retail sarà ‘significativa’ nei prossimi anni, proprio sotto la spinta dei pac in etf, portando gli asset in gestione in Europa a quasi triplicarsi in area 3.000 miliardi di dollari entro il 2027. Ma cosa sta rendendo i pac in etf uno strumento così apprezzato dai nuovi investitori digitali?
“Il Covid e la volatilità degli ultimi anni hanno portato sempre più persone a interessarsi dei propri risparmi e il mondo digitale crea nelle persone una maggiore voglia di protagonismo in prima persona rispetto al passato, gestendo i risparmi anche in maniera programmata con dei pac in etf”, sottolinea Vincenzo Tedeschi, amministratore delegato di Directa Sim, che nel 2021 è stata la prima piattaforma in Italia a proporre pac in etf senza commissioni. Oltre alla semplicità e ai bassi costi (molti saving plan non presentano commissioni), un elemento chiave di successo dei pac in etf è l’accessibilità anche con capitali esigui. “Il pac calza a pennello per i giovani che hanno una buona propensione al risparmio e allo stesso tempo devono fare i conti con disponibilità limitate spiega Pietro Di Lorenzo, analista e fondatore di SosTrader. Questa sorta di investimento ‘a rate’ permette tramite versamenti mensili di spalmare il rischio sul lungo periodo e superare i limiti del market timing che statisticamente porta il 90% dei retail a perdere soldi”.
Un esempio lampante è quanto successo lo scorso anno con mercati ribassisti che hanno indotto molti investitori a tirare i remi in barca. “Nel 2022 tutto è andato giù e tante persone sono uscite dagli investimenti argomenta Alessandro Saldutti, country manager per l’Italia di Scalable Capital, interpellato da We Wealth mentre i nostri clienti che avevano impostato un pac hanno continuato a investire e ora con mercati ripartiti queste persone stanno beneficiando di aver preso posizione senza farsi spaventare”. “Il pac ti dà disciplina evitando di essere divorati dalle sirene”.
Ma quali tipologie di etf animano i piani di risparmio dei giovani investitori? Dai dati riferiti a We Wealth da Scalable Capital e da Trade Republic (entrambe le piattaforme vedono una larga fetta di under 35 tra i propri clienti) emerge la predilezione verso esposizioni allargate attraverso indici quali Msci World, S&P 500 o Msci Emerging Markets. La preferenza delle nuove generazioni pende per l’azionario, ma non manca la ricerca di esposizioni all’obbligazionario globale.
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Un’ondata di investitori esordienti
A prendere coscienza dell’efficienza degli etf come strumento idoneo per approcciarsi agli investimenti sono soprattutto i più giovani. Un recente survey di YouGov, commissionato da BlackRock, indica che la generazione Z e i millennial si candidano ad essere la forza trainante per la crescita del mercato europeo degli etf.
Un ruolo chiave lo giocheranno le piattaforme di investimento online. In Europa, il mercato digitale vanta già asset in gestione di quasi 2.000 miliardi di dollari in totale. “Prevediamo che, nel corso del 2023, gli investitori di età compresa tra i 18 e i 34 anni rappresenteranno il 54% dei nuovi investitori in etf afferma Jane Sloan, Emea Head of iShares & Index Investments e il 41% di questi sarà costituito da investitori esordienti che hanno imparato a conoscere gli investimenti attraverso queste piattaforme e che apprezzano la semplicità e il basso costo degli etf”. Guardando all’Italia, il numero di investitori in etf è atteso crescere del 39% nell’arco dei prossimi 12 mesi, ossia oltre 800.000 nuovi investitori.
La rapida evoluzione della distribuzione digitale è uno dei pilastri di questo trend. “Benvenuta rivoluzione digitale – taglia corto Saldutti di Scalable Capital le persone oggi possono informarsi facilmente, in particolare i giovani vedono opportunità di investire in strumenti che al contrario dei fondi sono estremamente trasparenti e hanno commissioni decisamente più basse”.
“Le piattaforme digitali hanno preso la rivoluzione etf e l’hanno messa al centro della propria offerta principalmente attraverso i piani di risparmio che permettono di investire mese dopo mese togliendo emotività e tenendo i costi bassi”, aggiunge Saldutti.
Più consapevolezza sull’impatto dei costi
Sponda per una sempre maggiore propensione ad affidarsi a strumenti quali gli etf potrà arrivare dal miglioramento della trasparenza sui costi a cui aspira la Retail Investment Strategy approvata dalla Commissione che punta a ‘standardizzare l’informativa sui costi per garantire che siano veramente trasparenti per gli investitori al dettaglio, sia in termini di comprensione dei costi che del loro impatto sul rendimento dell’investimento’. Un discorso che interessa da vicino l’Italia visto che siamo uno dei mercati con costi di accesso ai prodotti d’investimento tra i più alti d’Europa. Sui pac il contenimento dei costi è essenziale in quanto vengono sovente investite piccole cifre. “Su un investimento di 50 euro, una commissione standard di 5 euro va a bruciare il 10% dell’investimento”, spiega Tedeschi.
Per i giovani investitori focalizzati sul lungo periodo affidarsi al mattoncino etf non significa rinunciare a performance, anzi. La gestione attiva nel recente passato non ha dato evidenza della capacità di generare una sovraperformance rispetto alla mera replica degli indici di mercato. Dall’ultimo report SPIVA (S&P Indexes Versus Active Funds), ricerca di S&P che esamina le prestazioni dei fondi comuni di investimento rispetto ai benchmark, emerge che negli Stati Uniti solo l’8,6% dei gestori su large cap USA ha sovraperformato l’S&P 500 negli ultimi dieci anni (dati al 31/12/2022). Sullo stesso arco di tempo in Europa solo il 10,3% dei gestori azionari ha sovraperformato l’indice S&P Europe 350. “Troppi italiani si fidano ciecamente delle soluzioni a gestione attiva, ma questo è conseguenza della purtroppo ancora bassa educazione finanziaria”, rimarca Emanuele Agueci, country manager per l’Italia di Trade Republic. La gestione attiva ha un costo importante in Italia, in media il 2% all’anno sull’azionario rispetto allo 0,3% di costo medio annuo di un etf, aggiunge Agueci, una differenza di costo abissale che ha un impatto concreto sul valore dei risparmi nel lungo periodo.
Articolo tratto dal numero di Luglio e Agosto di We Wealth