I panda bond
“Siamo stati il primo operatore istituzionale europeo a emettere le obbligazioni Panda bond sul mercato cinese per facilitare finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese per calmierare il tasso di cambio”. A parlare è Nunzio Tartaglia, head of corporate di Cassa depositi e prestiti, al termine della due giorni di conferenze Bri, Bealt and Road Initiative di Class e l’agenzia di stampa Xinhua.
La Cdp è stata in assoluto tra le prime emittenti a lanciare dunque i Panda Bond. Si tratta di obbligazioni denominate in renminbi, vendute in Cina, ma emesse da un’emittente non cinese. “Il programma è stato autorizzato per cinque milioni di renminbi, noi abbiamo avviato la prima tranche da un miliardo”. Il primo plafond si è quasi esaurito. Adesso, “stiamo verificando col mercato l’effettivo tiraggio dello strumento e siamo pronti a prendere in considerazione una nuova tranche”, conclude Tartaglia. A livello globale, ad emettere le prime due obbligazioni Panda sono state nell’ottobre 2005 la International Finance Corporation e la Asian Development Bank.
Imprese italiane in Cina: tre macro aree
Luca Ferrari, ambasciatore a Pechino, dichiara che la partecipazione delle imprese italiane all’economia cinese è aumentata moltissimo, grazie a Sace e Simest. Tutto il nostro sistema-Paese si sta orientando “verso tre macro aree”.
Innanzitutto, quella di creazione di nuove opportunità (es. sistema fieristico cinese). Poi, l’arrivo delle nostre imprese sul mercato interno del Paese di Mezzo grazie alle piattaforme digitali cinesi. Infine, “entrambi i governi stanno lavorando per sistemare il quadro pattizio degli accordi commerciali fra i due paesi, in molti ambiti [fra cui energia, agricoltura, ndr]”.
“Il 2021 deve diventare l’anno del rilancio”, prosegue Ferrari. A fine ottobre 2021 Xi Jinping sarà ospitato in Italia per aprire “the road to 2022”. Il 2022 sarà l’anno del turismo e della cultura Italia-Cina. Le olimpiadi invernali si terranno a Pechino. “E’ valore del softpower culturale”, prosegue l’ambasciatore. “Oggi la Cina è covid free. La Cina guarda all’Italia con grande ammirazione, “come uno dei paesi più virtuosi d’Europa. Nei primi sette mesi dell’anno abbiamo visto un controvalore di 6 miliardi di beni italiani esportati in Cina, un ampliamento della presenza delle imprese italiane sulle piattaforme online”. Soprattutto, prosegue Ferrari, “abbiamo constatato un notevole ampliamento della partecipazione delle imprese italiane alla vita industriale cinese”. Molte aziende hanno aperto nuovi stabilimenti e “credo che stiano in qualche modo compensando le perdite della loro casa madre in Italia o in Europa”.
Il wealth management italiano in Cina
La filiale di Shanghai di Intesa Sanpaolo ha licenza piena dal 1997 per effettuare investimenti nel Paese di Mezzo. La banca ha supportato la metà degli investimenti diretti italiani effettuati in Cina. Nicchia di riferimento per l’istituto sono le aziende italiane. “Le autorità cinesi in questa fase pandemica hanno raccomandato massima flessibilità rispetto ai finanziamenti”, dice Yu Huang, general manager di Isp a Shanghai. In Cina i tassi “si aggirano intorno a 1,6-7% come depositi a vista, mentre i loan prime rate (Lpr) di riferimento per i prestiti da inizio anno si sono abbassati significativamente e viaggiamo intorno al 3,85%-4,65%, con un deciso calo del costo del denaro per le aziende”.
Non è un mistero che l’ex Celeste Impero sia il nuovo paese di Bengodi per quanto riguarda
wealth e asset management. “In Cina oggi ci sono 16.000 miliardi di euro di ‘wealth e asset management opportunity'”, afferma Massimo Mazzini, presidente di Eurizon Capital (HK). “Il numero clienti con patrimonio elevato è di oltre 2 milioni di individui”. Anche il tasso di risparmio è significativo, “immaginiamo quindi una crescita nei prossimi anni maggiore rispetto ai paesi dell’Ue e a quelli americani”. Eurizon è in Cina dal 2007. Sbarcata con un patrimonio di 20 miliardi, ha oggi quintuplicato le masse, portandosi a oltre 100 miliardi di euro di asset gestiti.
Un quadro legislativo chiaro e stabile per le imprese straniere
Quello che sta cambiando, è anche il contesto normativo. Dopo anni di tentennamenti, prima della pandemia Pechino aveva approvato la legge “Foreign Investment Law” sugli investimenti stranieri. Covid a parte, il quadro normativo agevolerà l’accesso delle imprese internazionali, fra cui quelle italiane, in Cina. “Il diritto cinese è un diritto recente, molto complesso che oggi sta cercando di rendere paritetici gli investitori cinesi e quelli stranieri. C’è un’apertura sempre maggiore del mercato per esempio nel settore dei servizi”, dichiara Junyi Bai, Partner, Dentons Europe Studio Legale Tributario. Marco Marazzi, Partner e Baker di Mckenzie Italy, aggiunge che “questa legge rappresenta un fatto molto positivo, le aziende hanno cinque anni per modificare gli statuti in questa direzione e alcune lo stanno già facendo”.