Dopo una laurea in ingegneria gestionale, si è catapultata nel mondo della consulenza strategica entrando nell’americana Monitor Company
“Sono sempre stata l’unica donna al tavolo, ma ho vissuto ogni esperienza con una grande voglia di fare squadra. Non ho mai avuto la sensazione di essermi persa qualcosa”
E il suo essere donna, spiega, non ha mai rappresentato un ostacolo. “Sono sempre stata l’unica donna al tavolo, ma ho vissuto ogni esperienza con una grande voglia di fare squadra. Non ho mai avuto la sensazione di essermi persa qualcosa in quanto donna. Forse anche perché ho sempre avuto la fortuna di lavorare in grandi aziende dove la meritocrazia faceva da padrona”. Certo, con la maternità non sono mancate alcune insidie. “Scientemente ho deciso di non avere figli subito, ma la vita è una grande maestra e, quando desideravo averne, ho dovuto attendere”, ricorda Scarpa. “Oggi sono una mamma felice di una ragazza di 18 anni e un ragazzo di 16. I sensi di colpa non mancano, soprattutto quando sono piccoli e spesso ti vedono andar via con una valigia tra le mani. Ma oggi sono per loro un role model e credo di essere la dimostrazione di come si possa fare tutto e conciliare tutto, imparando però a delegare qualcosa agli altri”. Quanto al periodo di congedo, secondo la manager uno degli errori da non compiere è quello di non mantenere stretti i contatti. “In questi casi credo che la cosa migliore sia mettersi nei panni dell’azienda, creando relazioni, facendosi sentire, e non pensando che tutto è dovuto. È giusto fare da entrambe le parti dei passi di avvicinamento”, osserva Scarpa.
Ma le difficoltà “di genere”, al di là della sua personale esperienza, sembrerebbero in realtà partire molto prima. Soprattutto quando si parla del settore della tecnologia e dell’innovazione. “Siamo di fronte a un tubo che perde. Ancora troppe poche ragazze scelgono facoltà Stem (Science, technology, engineering and mathematics), perché tipicamente nel momento in cui compiono questa scelta hanno un’età compresa tra i 12 e i 13 anni. E chi le può influenzare sono i genitori e gli insegnanti. Sono loro che, secondo me, devono portare innanzitutto modelli positivi. Poi sicuramente anche le aziende. Il punto è che se le imprese riescono a ottenere una giusta rappresentazione della popolazione esterna, creano anche prodotti migliori. Così l’inclusività, non solo di genere, ha un valore aggiunto anche dal punto di vista economico”, spiega Scarpa. Un processo però ancora difficile, secondo l’esperta, perché dal punto di vista psicologico si tenderebbe a selezionare persone simili a sé stessi. “Se hai una leadership al 90% maschile e bianca, difficilmente inserirai professionisti con un colore della pelle diverso, un genere diverso o una persona diversamente abile. Bisogna fare uno sforzo mentale importante, perché nella diversità c’è una ricchezza pazzesca. Lo vedo anche nel mio team: persone diverse le une dalle altre portano le idee migliori. E mi rendono una leader migliore”.