L’incertezza a livello economico ha un impatto sulle valutazioni delle imprese da parte dei fondi e ci vorrà del tempo perché possa ricrearsi un allineamento tra le aspettative degli imprenditori e le attuali valutazioni dei fondi”, dichiara Eliana Catalano, team leader del focus team private equity di BonelliErede
Secondo i dati pubblicati dall’Associazione italiana private equity, venture capital e private debt (Aifi) nel 2019 l’ammontare investito dagli operatori di private equity e venture capital in Italia è stato pari a 7.223 milioni di euro
Fondi di private equity prudenti in questi mesi di crisi sanitaria e non solo. “L’incertezza a livello economico ha un impatto sulle valutazioni delle imprese da parte dei fondi e ci vorrà del tempo perché possa ricrearsi un allineamento tra le aspettative degli imprenditori – che risentono dell’andamento positivo del mercato negli ultimi due anni pre-covid – e le attuali valutazioni dei fondi”, spiega a We Wealth Eliana Catalano, team leader del focus team private equity di BonelliErede.
“Ciò che fa ben sperare – continua Catalano – almeno nel medio periodo, è, da un lato, l’enorme liquidità che i fondi di private equity hanno a disposizione (a livello globale si stima in circa 2.500 miliardi di dollari l’importo relativo all’uncalled capital, cioè l’importo per il quale i fondi hanno raccolto impegni di sottoscrizione dai propri investitori ma che non è ancora stato richiamato, ovvero investito) e, dall’altro, la circostanza che storicamente gli investimenti effettuati subito dopo la crisi sono quelli che hanno fatto realizzare i ritorni più elevati ai fondi di private equity”.
Spostando il focus a livello italiano, secondo i dati pubblicati dall’Associazione italiana private equity, venture capital e pri- vate debt (Aifi) nel 2019 l’ammontare investito dagli operatori di private equity e venture capital in Italia è stato pari a 7.223 milioni di euro, con una contrazione di circa il 26% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, in termini di volumi, è stato un anno record, grazie soprattutto ad alcune operazioni di significativa dimensione. “È molto difficile fare previsioni per il 2020. Certo è che nei primi mesi dell’anno abbiamo assistito ad una notevole riduzione del numero di operazioni, specialmente quelle di dimensioni maggiori”, spiega Catalano.
Aspetto da tenere presente quando si parla di un fondo di private equity, che sia in minoranza o maggioranza, è che questo non è equivalente all’indebitamento bancario. Il primo, anche se in minoranza, non gioca il ruolo di solo finanziatore, passivo o silente, ma è anche coinvolto in tutte le scelte strategiche dell’impresa. A differenza di una banca, che ha principalmente a cuore la solvibilità finanziaria dell’impresa e la sua capacità di rimborsare il debito, i fondi di private equity “hanno come obiettivo principale la creazione di valore e la crescita dell’impresa, perché è solo in questo caso che, in sede di exit, realizzano valore per sé stessi e per i propri investitori”, sottolinea Catalano. A fronte di queste caratteristiche, quando conviene a un impresa
considerare l’ingresso di un fondo di private equity nel proprio capitale? La risposta non è univoca. Ci sono infatti diversi casi in cui l’ingresso di questa attività finanziaria porta benefici all’azienda. Oltre a mettere a disposizione risorse finanziarie da destinare allo sviluppo dell’attività aziendale, “i fondi di private equity apportano competenze professionali strategiche, finanziarie, di marketing e di organizzazione, oppure possono contribuire all’accelerazione del processo di crescita, attraverso nuove acquisizioni e/o l’ingresso in nuovi mercati o, ancora, possono aiutare l’azienda a sviluppare strutture organizzative e processi più articolati e sistemi di pianificazione e controllo e di monitoraggio dei risultati aziendali”, spiega Catalano.
Ma, oltre a questo, un fondo di private equity può anche aiutare l’imprenditore a migliorare la propria trasparenza e qualità dell’informazione, aumentare le capacità dell’impresa di at- trarre professionalità manageriali e infine favorire l’accesso ad un network di relazioni finanziarie e non, in ambito nazionale e internazionale. Una volta comprese queste dinamiche l’im- prenditore può valutare questo canale di accesso al capitale per la crescita. I tempi in questo caso non sono sempre uguali. Innanzitutto bisogna capire di che operazione stiamo parlando. E quindi, se si tratta di un processo di vendita tramite asta competitiva o se invece si parla di un’operazione one-to-one, sul mercato primario (cioè da imprenditore a fondo) o secondario (da fondo a fondo). Sono operazioni che infatti richiedono tempistiche diverse. E dunque: “senza considerare l’ultimo periodo, in media, al di fuori di un processo di asta competitiva, dalla firma del primo documento (lettera di intenti, term sheet o memorandum of understanding, con il quale vengono fissati, in via preliminare, la valutazione e i termini essenziali dell’operazione) all’effettivo investimento passano”, calcola Catalano, “dai due ai cinque mesi”.