Un sistema fiscale non competitivo, contraddistinto da una burocrazia complessa, è poco attrattivo per gli investitori stranieri
Osservare il sistema fiscale di uno Stato permette di valutarne la salute economica
Questa circostanza è vera al punto che, per favorire la ripresa economica, aumentare le entrate e attrarre capitale, miglioramenti sul fronte della riduzione della tassazione per le società si sono registrati in molti paesi dell’area Ocse. Sono numerose, infatti, le giurisdizioni che negli ultimi tempi hanno cercato di incidere sulle politiche fiscali interne, lavorando su progetti di riduzione delle aliquote al fine di raccogliere più entrate e aumentare la tax morale.
L’organizzazione americana Tax Foundation, partendo da questi assunti, ha inventariato i sistemi fiscali dei maggiori paesi Ocse confrontandoli sulla base della competitività, in relazione a diversi parametri di valutazione (con 40 variabili) che riguardano, tra gli altri, la tassazione delle imprese e delle persone fisiche, dei consumi, della proprietà e dei redditi prodotti all’estero.
La competitività di un sistema fiscale, come è stato rimarcato dall’Osservatorio Cpi (Osservatorio sui conti pubblici italiani), si traduce nella capacità di questo di tenere aliquote fiscali marginali basse al fine di attrarre investitori.
In effetti, nell’attuale contesto economico globale, caratterizzato da capitale ad alta mobilità, le aziende – interessate a garantirsi il miglior rendimento al minor livello di tassazione – sceglieranno di investire nei paesi più competitivi.
Gli investitori stranieri, infatti, prima di investire in un territorio valutano attentamente la politica fiscale adottata, e si dirigono verso quei luoghi che assicurano aliquote fiscali basse, al fine di massimizzare i tassi di rendimento al netto delle imposte.
In questo senso, come affermato dall’Ocse, un paese che adotta una politica fiscale improntata a mantenere alte le imposte sui redditi, delle persone fisiche o delle società, spinge gli investitori stranieri a dirigere investimenti e i capitali altrove e i cittadini ad alimentare il fenomeno dell’elusione fiscale.
Ebbene, tutto ciò considerato, stando alla classifica predisposta da Tax Foundation, l’Estonia ha il miglior sistema fiscale dell’intera area Ocse. Il piccolo Stato lambito dal Mar Baltico, infatti, ha un’aliquota sul reddito delle società particolarmente bassa che si applica solo sugli utili distribuiti e ha una politica sulla tassazione della proprietà immobiliare particolarmente vantaggiosa.
Al secondo posto si posiziona la Lettonia, a seguire la Nuova Zelanda, la Svizzera e il Lussemburgo.
E invero, dal report in commento, emerge che l’Italia si posiziona all’ultimo posto tra i 37 paesi Ocse, quanto a competitività del sistema fiscale.
A penalizzare il sistema fiscale italiano, considerato, appunto, il meno competitivo dell’Ocse, sono, da un lato, le imposte sulle attività finanziarie e sugli immobili detenuti all’estero nonché quelle che si applicano sulle transazioni finanziarie e sulle successioni; dall’altro, l’elevata burocrazia.
Per gli oneri di conformità, in media, le imprese italiane spendono oltre 170 ore annue, rispetto alla media Ocse che si attesta sulle 66 ore. Inoltre, l’Italia – subito dopo il Giappone – è il Paese che richiede alle imprese il più alto numero di adempimenti e pagamenti.
Infine, tra i punti deboli del sistema fiscale italiano si annoverano le tasse sul patrimonio (le cd. wealth taxes) e la forte tassazione patrimoniale sugli immobili, che causa effetti distorsivi sull’economia e rende dispendioso il processo di pagamento delle tasse.