Tale programma vede la possibilità di un’Europa più sana, più digitale e più verde, attraverso cui puntare a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, finanziando tecnologie rispettose dell’ambiente, veicoli e trasporti pubblici più ecologici ed edifici e spazi pubblici più efficienti sotto il profilo energetico.
L’idea di un futuro più verde eredita le sfide del green deal europeo, a cui saranno destinati un terzo dei 1.800 miliardi di euro di investimenti del piano per la ripresa di Ngeu e il bilancio settennale dell’Ue.
Gli obiettivi globali ed europei al 2030 e 2050 (Sustainable development goal, obiettivi Accordo di Parigi, European green deal …) sono molto ambiziosi. Puntano a una progressiva e completa decarbonizzazione del sistema (‘net-zero’) e a rafforzare l’adozione di soluzioni di economia circolare, per proteggere la natura e le biodiversità e garantire un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente.
Inizialmente con la 2030 Agenda for sustainable development pubblicata dall’Onu nel 2015, e, oggi, con il nuovo green deal europeo, sono stati definiti gli obiettivi di sviluppo a lungo termine il cui raggiungimento dev’essere considerato prioritario dai governi: tra questi, figurano in prima linea la crescita economica globale in ottica sostenibile, la transizione energetica verso l’utilizzo di energie rinnovabili (anche attraverso l’istituzione di una nuova cosiddetta carbon tax europea), e l’instaurazione di un modello di economia circolare.
a) ha un patrimonio unico da proteggere, un ecosistema naturale, agricolo e di biodiversità di valore inestimabile, che rappresentano l’elemento distintivo dell’identità, cultura, storia, e dello sviluppo economico presente e futuro;
b) è maggiormente esposto a rischi climatici rispetto ad altri Paesi, data la configurazione geografica, le caratteristiche del territorio, e gli abusi ecologici che si sono verificati nel tempo;
c) può trarre maggior vantaggio (e più rapidamente) rispetto ad altri Paesi dalla transizione, data la relativa scarsità di risorse tradizionali (es., petrolio e gas naturale) e l’abbondanza di alcune risorse rinnovabili (basti pensare che le nostre regioni del Sud possono vantare sino al 30-40% in più di irraggiamento rispetto alla media europea, rendendo i costi della generazione solare potenzialmente più bassi).
Ora, nell’attuazione del Pnrr, e nello specifico della promozione della sostenibilità, lo strumento fiscale potrà – anzi, dovrà – ricoprire un ruolo centrale, incentivando la transizione delle attività pubbliche e private verso i nuovi Sustainable development goal condivisi a livello internazionale.
Ciò, peraltro, contribuirà anche ad ampliare rispetto al passato il raggio d’intervento del sistema fiscale in materia ambientale: difatti, se negli ultimi decenni non sempre è stata incoraggiata l’attenzione alle green tax reform, queste ultime devono oggi rappresentare uno dei punti cardine delle nuove proposte normative.
La tassazione, d’altra parte, ha sempre giocato un ruolo cruciale nel promuovere oppure dissuadere il comportamento collettivo.
I sistemi fiscali sono strutturati in modo da riflettere il “doppio ruolo” della tassazione (oltre al ruolo principale, che è ovviamente quello di garantire gettito): da un lato, le agevolazioni fiscali, solitamente introdotte per sostenere attività considerate degne di attenzione (ad esempio le ristrutturazioni edilizie finalizzate all’efficientamento energetico); dall’altro, le politiche fiscali, volte ad impedire attività atte a danneggiare interessi pubblici fondamentali (come la protezione dell’ambiente).
Nel caso della tutela ambientale, lo scopo viene solitamente raggiunto introducendo prelievi su eventi inquinanti. Attraverso una tassazione ambientale sarebbe possibile correggere falsi segnali di prezzo nel mercato, aggiungendovi i costi dell’inquinamento e di altri fattori ecologici, contribuendo così a stabilire “il giusto prezzo” e ad attuare il principio comunitario “chi inquina paga”. Al fine di realizzare la necessaria ridistribuzione delle risorse economiche per il conseguimento dello sviluppo sostenibile, tutti i costi sociali ed ambientali devono essere incorporati nelle attività economiche, internalizzando i costi ambientali esterni.
È evidente, dunque, che la leva fiscale non potrà che rientrare fra i principali strumenti atti a garantire la transizione verso un’economia sostenibile, stante la sua funzione trasversale di indirizzo dei comportamenti dei consociati. In particolare, spetterà ai governi (non solo a quello italiano) implementare all’interno degli ordinamenti politiche fiscali volte a promuovere la sostenibilità in senso lato: in altri termini, occorrerà – anche attraverso lo strumento fiscale – incentivare la sostenibilità economica, socio-culturale e, ovviamente, quella ambientale.
In definitiva, dunque, la promozione della sostenibilità ambientale non potrà più essere considerata soltanto un auspicabile effetto collaterale, ma dovrà rappresentare un obiettivo primario delle nuove riforme, anche fiscali.