Secondo i dati del Global footprint network, think thank indipendente impegnato nella battaglia contro l’emergenza climatica fin dal 2003, il 29 luglio la Terra ha già esaurito tutte le risorse naturali in grado di rigenerare in un anno
Yo Takatsuki, Jp Morgan asset management: “Impegnarci attivamente su come le aziende stanno gestendo i rischi del cambiamento climatico e delle emissioni di gas serra rimane uno dei principali obiettivi dei nostri sforzi di gestione”
L’umanità è ufficialmente in debito con il pianeta. Secondo i dati del Global footprint network, think thank indipendente impegnato nella battaglia contro l’emergenza climatica fin dal 2003 e fondato dall’ambientalista svizzero Mathis Wackernagel, il 29 luglio la Terra ha già esaurito tutte le risorse naturali in grado di rigenerare in un anno. Nel 2020, quello che viene definito come “Earth overshoot day”, era scattato il 22 agosto, uno slittamento legato unicamente alla crisi pandemica e alla conseguente diminuzione delle emissioni di Co2. Ma a nulla sono valsi i passi in avanti. Ogni anno, infatti, la data ricorre sempre prima: nel 1970, per esempio, l’orologio della Terra scoccò il 29 dicembre.
Mentre gli Stati fanno i conti con i propri livelli di consumo delle risorse (con l’Italia che saluta da lontano il 13 maggio, la data in cui ha siglato a sua volta il proprio debito col pianeta), oltre 50 grandi investitori con più di 14mila miliardi di asset in gestione scendono in campo per il clima. Sebbene almeno un quinto delle 2mila principali grandi aziende pubbliche al mondo si siano impegnate a raggiungere l’obiettivo zero emissioni nette, avvertono i gestori patrimoniali riuniti nell’Institutional investors group on climate change, la mancanza di standardizzazione negli impegni assunti finora rappresenta una sfida per chi cerca di allineare i propri portafogli in tal senso. Ragion per cui invitano le società a divulgare un piano di transizione sul fronte “net zero”, identificare un amministratore responsabile di tali azioni e fornire la possibilità agli investitori di votare annualmente sui progressi raggiunti (ove consentito dalla legge locale).
“Affinché gli investitori possano svolgere il loro lavoro di amministratori del capitale, le aziende devono stabilire meccanismi efficaci per dimostrare agli azionisti i loro piani di transizione e delineare come saranno raggiunti”, spiega Stephanie Pfeifer, amministratore delegato dell’Institutional investors group on climate change. “È chiaro che il voto degli azionisti e la supervisione degli amministratori siano necessari per far sì che le società rendano conto dei loro impegni per raggiungere un futuro a zero emissioni nette”, spiega. “La trasparenza e la responsabilità sono fondamentali per l’effettiva consegna di impegni netti pari a zero. Mettere ai voti i piani aziendali di allineamento in tal senso consentirà agli azionisti di inviare un messaggio chiaro al consiglio sulla portata e il ritmo di attuazione”, aggiunge Stephanie Maier, global head of sustainable and impact investment di
Gam investments.
“Se abbiamo qualche possibilità di colmare il divario tra le attuali emissioni di carbonio e il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi – interviene Yo Takatsuki, head of investment stewardship Emea di Jp Morgan asset management – la transizione allo zero netto deve essere scientificamente credibile. Responsabilità, rendicontazione e consegna di un credibile piano di transizione, insieme alla divulgazione di dati di buona qualità, devono quindi essere attuati dai board delle società partecipate. E non c’è tempo da perdere. In collaborazione con i nostri analisti e gestori di portafoglio, impegnarci attivamente su come le aziende stanno gestendo i rischi del cambiamento climatico e delle emissioni di gas serra rimane uno dei principali obiettivi dei nostri sforzi di gestione, mentre cerchiamo di fare la nostra parte per aiutare a colmare l’attuale divario”. Tra gli altri nomi di spicco si segnalano M&G, Bnp Paribas asset management e Ubs asset management.
L’idea di un voto agli azionisti, tuttavia, non ha mancato di destare preoccupazioni. I critici, spiega il Financial Times, sostengono che non sia loro compito gestire le microimprese. E c’è il timore che molti investitori firmeranno alla cieca i loro piani, anche se le aziende non li staranno rispettando. Il filantropo miliardario britannico investitore di hedge fund, Chris Hohn, ha affermato che gli investitori hanno il “dovere fiduciario di garantire che le aziende raggiungano i loro obiettivi”. Ma piuttosto che fissare traguardi ambiziosi per il 2050, secondo Hohn qualsiasi piano dovrebbe essere basato sulla scienza e includere obiettivi per la riduzione delle emissioni nei prossimi cinque anni. “Tutto il resto è solo greenwashing”, conclude.
Secondo i dati del Global footprint network, think thank indipendente impegnato nella battaglia contro l’emergenza climatica fin dal 2003, il 29 luglio la Terra ha già esaurito tutte le risorse naturali in grado di rigenerare in un annoYo Takatsuki, Jp Morgan asset management: “Impegnarci attivament…