Nell’attività m&a, un’operazione su due al mondo è data da un fondo di private equity, ormai attore stabile in questo mercato. L’interesse dei fondi di private equity e delle multinazionali estere rappresenta un’opportunità per il sistema produttivo italiano, costituito da aziende di medie dimensioni e un po’ sottocapitalizzato
Le sette acquisizioni del gruppo Vuitton nel nostro paese si sono basate anche sulla «cultura dell’estetica» e hanno lasciato le sedi produttive dov’erano, «l’anima è restata qui in Italia». L’ingresso di capitali esteri in Italia è uno dei tabù da demolire. «Se guardiamo a cosa è capitato quando sono intervenuti investitori esteri in Italia il processo è stato per lo più virtuoso»
Nodo più delicato è quello del golden power. «Dobbiamo renderci conto che non tutti i settori sono uguali ma ce ne sono alcuni, come quelli infrastrutturali, in cui è necessaria un’attenzione particolare da parte dello Stato». Aspetto questo che ci tutela nei confronti degli acquisti extra-Ue in entrata
Per quanto riguarda le operazioni straordinarie, l’italia ha registrato un
inizio d’anno importante con un +161%. «Nonostante la pandemia, nel 2020 ha retto l’m&a, con una flessione dei volumi pari a meno del 4% sul 2019. Tutto questo grazie a un secondo semestre in straordinario recupero, premessa di un 2021 da record, e a un ruolo sempre più centrale dei fondi di private equity», lo ha evidenziato
Giuseppe Latorre, partner di
Kpmg, head of corporate finance, nel corso del Merger&Acquisition Summit organizzato dal Sole 24 Ore in collaborazione con 4cLegal.
Si tratta di un’evoluzione che viaggia in parallelo con una cultura d’impresa sempre più aperta al mercato: «Ormai è chiaro agli imprenditori che occorre un approccio di “architettura aperta”, con la finanza straordinaria che può essere il vero acceleratore della crescita. Senza il giusto supporto non si sta al passo con i concorrenti», ha aggiunto Diego Selva, head of investment banking di Banca Mediolanum.
L’Italia non perde terreno, con un volume di m&a pari al 2,9% e 7.870 aziende con un fatturato di oltre 50 milioni. Tutte potenziali obiettivi di operazioni straordinarie. «In Italia il mercato si sta democratizzando. Ci sono infatti sempre più transazioni di dimensioni minori, oltre a un crescente attivismo dell’Italia all’estero: tra il 2011 e il 2020 abbiamo contato 1.239 deal di realtà italiane all’estero, contro le 818 del decennio precedente». Lo stesso Latorre poi aggiunge che «un’operazione su due al mondo è data da un fondo di Pe, stabile attore nel mercato delle operazioni straordinarie».
«L’interesse dei fondi di private equity e delle multinazionali estere rappresenta un’opportunità per il sistema produttivo italiano, costituito da aziende di medie dimensioni e un po’ sottocapitalizzato», aggiunge Mauro Micillo, chief of Imi corporate & investment banking division Intesa Sanpaolo. I fondi di private equity e le acquisizioni sono fonti di capitale. I grandi operatori internazionali inoltre «portano con sé una tendenza ad aggiungere managerialità ad aziende che magari hanno bisogno. E questo, ad esempio nell’ambito di una transizione anche familiare, rappresenta un’opportunità».
Per Micillo «la possibilità di avere nell’azionariato un grande fondo internazionale può aiutare lo sviluppo internazionale dell’azienda stessa». Il manager ricorda anche che «l’asse portante della nostra economia sono le mid cap. E noi ci siamo attrezzati per questo. Anche grazie
all’operazione con Ubi oggi abbiamo un livello alto di conoscenza delle medie imprese. Siamo una banca assai rilevante per queste aziende». Micillo ha infine ricordato che «già tre anni fa abbiamo organizzato un team, che sta ottenendo risultati straordinari, per seguire le aziende di medie dimensioni».
Presente al summit anche
Antonio Belloni, direttore generale del gruppo Lvmh, fresco dei suoi 300 miliardi di capitalizzazione. Belloni ha ricordato le sette acquisizioni effettuate in Italia dal gruppo francese. Operazioni basate su quella «cultura dell’estetica» che contraddistingue il dna del paese e che «non è stata toccata: le sedi sono rimaste dov’erano, l’anima è restata qui in Italia». La svolta, piuttosto, è stata sulla redditività, «ad esempio nel caso di Fendi e Bulgari la redditività è migliorata di sei volte». II direttore non ha escluso ulteriori acquisizioni: «In Lvmh abbiamo tanto da fare, vista anche la
maxi operazione Tiffany. Ma siamo sempre alla ricerca di nuove opportunità». Belloni ha però smentito un interesse per il Milan.
Tuttavia, «non c’è solo la moda tra i settori di interesse da parte dei grandi capitali esteri. Penso ad esempio all’alimentare, o all’automazione», tutti ambiti in cui «il made in Italy si conferma, da solo, come uno dei brand più noti e apprezzati al mondo», osserva Stefano Giudici, responsabile investment banking Italia di Nomura, che ha seguito in prima persona la recente acquisizione di Jil Sander da parte di OTB, la holding di Renzo Rosso. Ed è proprio questa la chiave per preservare il valore presente e futuro: «Un’operazione è di successo solo se l’azienda continua a essere percepita come italiana. Chi ha salvaguardato questo aspetto, ha vinto».
L’ingresso di capitali esteri in Italia è uno dei tabù da demolire. «Se guardiamo a cosa è capitato quando sono intervenuti investitori esteri in Italia il processo è stato per lo più virtuoso», rileva
Francesco Gatti, equity partner di Gatti Pavesi Bianchi Ludovici. «Penso alle competenze. Ma anche all’Esg: spesso la sensibilità di questi temi è conferita da investitori esteri». Nodo più delicato è quello del
golden power. «Se vogliamo occuparci del tema e non semplicemente preoccuparcene, dobbiamo renderci conto che non tutti i settori sono uguali ma ce ne sono alcuni, come quelli infrastrutturali, in cui è necessaria un’attenzione particolare dello Stato». Aspetto, quello del golden power, che ci tutela nei confronti degli acquisti extra-Ue in entrata nei nostri paesi.
L’m&a può rappresentare la strada salvifica nei confronti delle aziende sotto stress, insieme in via di ingrossamento a causa della crisi pandemica. Osserva a tal proposito Gianfilippo Mancini, amministratore delegato di Sorgenia: «Il settore dell’energia sta vivendo una fase di grande attenzione anche sul fronte delle m&a. Il processo di Sorgenia si è completato a dicembre del 2019 ed è stata l’operazione del settore più rilevante. Nel settore c’è bisogno di una grande ristrutturazione. Fondi e utility stanno guardando a questi asset come opportunità di crescita esterna».
Nell’attività m&a, un’operazione su due al mondo è data da un fondo di private equity, ormai attore stabile in questo mercato. L’interesse dei fondi di private equity e delle multinazionali estere rappresenta un’opportunità per il sistema produttivo italiano, costituito da aziende di medie dimen…