Il fondo europeo di ripresa è probabilmente il primo passo verso “un’unione fiscale nei prossimi cicli economici”. I Ventisette per la prima volta hanno dato mandato alla Commissione di indebitarsi a loro nome
“Non sono occasioni che si ripetono, capitano forse due volte al secolo. Una svolta straordinaria, forse la più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro” (Paolo Gentiloni). “Quei soldi però andranno spesi bene” (Carlo Cottarelli)
L’accordo costituisce uno “stimolo economico importante” che “rappresenta un passo fondamentale verso una maggior integrazione dell’Europa” (Equita)
Al di là dei limiti concreti dello strumento (sarà operativo solo dal 2021), il fondo europeo di ripresa – ma soprattutto il suo meccanismo di finanziamento – è cruciale perché sdogana il tabù degli eurobond
Fiammata delle borse europee, che frenano sul finale
Il fondo europeo di ripresa è probabilmente il primo passo verso “un’unione fiscale nei prossimi cicli economici”. A parlare sono gli strategist obbligazionari di Mizuho. E la giornata del 21/7/2020 sembra confermarlo. Sul mercato dei titoli di Stato europei è infatti prevalsa la propensione al rischio grazie ai Ventisette che per la prima volta hanno dato mandato alla Commissione di indebitarsi a loro nome. Le borse dal canto loro avevano aperto baldanzose sulla scorta dell’euforia per l’accordo sul recovery fund giunto alle prime luci dell’alba. Entusiasmo che si è smorzato però nella seconda parte di giornata. Le piazze del Vecchio Continente chiudono infatti appena sopra la parità. Milano in particolare tocca il 2% e chiude a +0,49%, sfiorando nella seduta i massimi di marzo.
Recovery fund, il primo passo vero l’unione fiscale europea
Luigi De Bellis (ufficio studi Equita) plaude all’accordo, “stimolo economico importante” che “rappresenta un passo fondamentale verso una maggior integrazione dell’Europa”, eliminando un rischio di coda. Nel breve, secondo De Bellis l’accordo potrebbe sostenere un ulteriore restringimento dello spread e una riduzione del premio per il rischio. “Nel nostro portafoglio raccomandato continuiamo a privilegiare i titoli più difensivi (Utilities, Telecom e Healthcare) e meno legati al ciclo economico, con una buona visibilità sulla generazione di cassa e sul dividendo”.
Al di là dei limiti concreti dello strumento (sarà operativo solo dal 2021), il fondo europeo di ripresa – ma soprattutto il suo meccanismo di finanziamento – è cruciale perché sdogana il tabù degli eurobond. “L’emissione di debito comune a livello dell’Ue costituisce un precedente e migliora la futura flessibilità delle politiche”, riconosce William De Vijlder, capo economista di Bnp Paribas. Se la crisi si dovesse ripresentare, l’Ue saprebbe confrontarsi lo shock, ovvero “sollevare la questione dell’emissione del debito a livello dell’Ue sarà più facile”. L’accordo dell’Ue sul bilancio e sul recovery fund “può essere considerato positivo per l’intero mercato dei titoli di Stato della zona euro”, afferma Christian Lenk, analista di DZ Bank.
Attenzione al meccanismo di governance
Positiva anche Goldman Sachs, che giudica “positivo nel complesso l’accordo”, in grado di “alimentare la nostra convinzione di un’area euro ben posizionata per riprendersi dallo shock covid”. Anche Bank of America ammette che l’accordo europeo “è un segnale politico forte”. Tuttavia aggiunge che “non è sufficiente in termini di dimensioni”. Il piano “non avrà un impatto economico sufficiente vista l’entità dello shock”, spiegano pessimisti da BofA. Gli analisti lamentano inoltre che “solo” 70 miliardi di risorse arriveranno nel 2020. Il pacchetto di aiuti potrebbe poi “apportare volatilità” a causa del suo meccanismo di governance e del “freno” di emergenza che ogni paese potrà tirare in caso di spreco delle risorse. Aspetto questo che anche gli analisti di Goldman temono.
Gli economisti di Ing calcolano che nei primi due anni di vigenza, “l’importo massimo delle sovvenzioni erogate dal recovery fund sarà pari all’1,6% del Pil dell’Ue” con Italia e Spagna che potranno ricevere “sovvenzioni per circa il 2,5% e il 3,5% del Pil”.