Trasferire la residenza all’estero e mantenere in Italia affetti o i principali affari può comportare il recupero a tassazione di certi redditi e compensi
Se un soggetto mantiene in Italia i principali affetti o in Italia gestisce i principali affari, potrebbe andare incontro al rischio di risultare, agli occhi dell’Amministrazione fiscale, ancora residente nel territorio dello Stato
E invero, senza entrare nel merito della materia della residenza fiscale, ma limitandosi ad accennare al fatto che ai sensi dell’art. 2 Tuir, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerati residenti i soggetti che, per la maggior parte del periodo d’imposta (+ 183 giorni l’anno) alternativamente, risultano iscritti nelle Anagrafi comunali della popolazione residente, hanno domicilio nel territorio dello Stato, hanno residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.c., è bene evidenziare che lo stesso art. 2 Tuir prevede un’eccezione, a mente della quale – a certe condizioni – sarà presunta la residenza fiscale in Italia dei soggetti che si sono trasferiti in un Paese a fiscalità privilegiata.
Tra gli elementi che permettono alle autorità di considerare come residente in Italia il soggetto che, invece, cancellatosi dall’anagrafe della popolazione residente, si è trasferito in un Paese a fiscalità privilegiata, rileva quello del centro principale degli interessi.
Le autorità considerano, ai fini della tassazione dei redditi, come residente il contribuente che nel territorio dello Stato mantiene il proprio centro di affari economici e degli interessi affettivi o personali.
In buona sostanza, al di là del trasferimento di residenza all’estero (conseguito a seguito della cancellazione dall’anagrafe della popolazione residenze “Apr” e dell’iscrizione all’Aire, anagrafe dei residenti all’estero), se un soggetto mantiene in Italia i principali affetti o in Italia gestisce i principali affari, potrebbe andare incontro al rischio di risultare, agli occhi dell’Amministrazione fiscale, ancora residente nel territorio dello Stato; dunque, di vedersi recapitare la richiesta di recuperare a tassazione certi redditi o compensi percepiti ma non assoggettati ad imposta in Italia.
In buona sostanza, il luogo in cui il contribuente ha, in via di fatto, relazioni personali e gestisce i principali affari potrebbe incidere dal punto di vista fiscale sul suo status di residente.
È evidente che una simile circostanza non è di poco conto, in quanto potrebbe rendere vano il trasferimento compiuto verso uno Stato straniero, anche, per beneficiare di determinati vantaggi fiscali.
Per superare la presunzione di residenza prevista a mente dell’art. 2 Tuir, la cui ratio risponde all’esigenza di evitare trasferimenti fittizi, effettuati per il solo fine di ottenere vantaggi fiscali indebiti, il cittadino dovrà dimostrare non solo che, dal punto di vista formale, non è più iscritto all’anagrafe dei residenti ma, da un punto di vista sostanziale, anche che non sussistono più i collegamenti con il territorio italiano; vale a dire, deve mettere in evidenza il venir meno di legami significativi con il territorio italiano, nonché deve dimostrare di non avere più interesse a ritornare in Italia da residente.
Ebbene, quando si tratta di residenza fiscale sono numerose le insidie che possono venire in rilievo. Per tale ragione è opportuno ricorrere ad un consulente specialista nel settore, che sappia non solo individuare le prove documentali idonee a dimostrare la genuinità del trasferimento all’estero, ma anche che sappia indicare i passi da compiere per cambiare residenza nel modo giusto, evitando errori che potrebbero dare vita a conseguenze negative con l’amministrazione fiscale.