In Italia le risorse destinate all’accumulazione della conoscenza rappresentano mediamente l’1,5% del prodotto interno lordo tra pubblico e privato
Il piano Amaldi punta a eliminare il gap con la Germania sui fondi pubblici destinati alla ricerca di base aumentando progressivamente la spesa fino a circa 20 miliardi di euro annui
Crescono gli investimenti del settore dell’information & communication technology: solo nel 2018 si parla di 2,6 miliardi di euro
Come spiegano Carlo Cottarelli e Giulio Gottardo, autori dell’analisi, “la performance deludente delle imprese in questo ambito si traduce, nel lungo periodo, in una perdita di competitività causata dalla stagnazione della produttività”. In questo contesto, precisano, incrementare gli stanziamenti pubblici nel settore e rinforzare il trasferimento tecnologico “potrebbero avere effetti di medio e lungo periodo estremamente desiderabili, come una crescita economica accelerata, l’inserimento di più giovani altamente qualificati nel mercato del lavoro e un maggiore contributo italiano alle sfide del futuro”. Una proposta in tal senso è stata elaborata dal piano Amaldi che punta a eliminare il gap con la Germania sui fondi pubblici destinati alla ricerca di base aumentando progressivamente la spesa fino a circa 20 miliardi di euro annui, contro i nove miliardi attuali, anche se un “piano meno ambizioso potrebbe essere raggiungere la Francia, arrivando a spendere circa 15 miliardi all’anno”, concludono gli esperti.
Secondo Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, i programmi di rilancio in discussione sulla base del recovery plan che adotterà l’Unione europea, “assegnano un ruolo centrale al digitale e accentuano la priorità di rafforzare gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione Ict, puntando su una solida collaborazione tra istituzioni pubbliche e attori privati con l’obiettivo di mantenere il passo con i paesi guida. Di più vuol dire aumentare sensibilmente le risorse. Meglio vuol dire concentrare risorse ed energie su ambiti dove sono maggiori le possibilità di sviluppare massa critica e consolidare ecosistemi tecnologici di rilevanza almeno europea”.
La pandemia, aggiunge il ministro dell’università e della ricerca Gaetano Manfredi, in questo contesto ha contribuito ad “accelerare il processo di transizione digitale in atto e va colta l’opportunità di governarlo per rispondere alla richiesta di una società più equa e più democratica”. Innanzitutto, spiega, bisognerebbe rafforzare le competenze specifiche, incentivando i giovani, specialmente le donne, a orientarsi verso le facoltà Stem (Science, technology, engineering and mathematics), “in modo da rispondere alla crescente richiesta che arriva dai mondi della robotica, dell’intelligenza artificiale, della biomedicina e dell’energia”. “Senza dimenticare il fondamentale ruolo della ricerca – conclude – che deve consentire anche alle realtà industriali medie e piccole, tanto importanti per il nostro sistema economico, di attestarsi su una dimensione tecnologica superiore”.