Lo Schaulager – imponente “prototipo architettonico” di Herzog & de Meuron situato poco dopo il confine di Basel-Stadt – è ad oggi un unicum nel panorama dell’arte contemporanea. Fondato sui tre pilastri “preservare, studiare e condividere”, dal 2003 l’edificio ospita le opere dell’Emanuel Hoffmann Foundation secondo il concetto di open storage: tutti i pezzi della collezione sono permanentemente accessibili in spazi esclusivamente dedicati ad essi (ovvero, non ci sono depositi o scatole chiuse in nessuno dei cinque piani espositivi).
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Storia della fondazione Emanuel Hoffmann Foundation di Basilea
Creata nel 1933, la Emanuel Hoffmann Foundation è il frutto della visione avveniristica di Maja Hoffmann-Stehlin (poi Maja Sacher-Stehlin, 1896-1989) e del primo marito Emanuel Hoffmann (1896-1932), importanti collezionisti svizzeri. Nata in una famiglia di architetti, Maja studiò scultura a Monaco per diventare apprendista di Antoine Bourdelle a Parigi e successivamente di Oscar Jespers a Bruxelles.
Nel 1921 si innamorò e sposò Emanuel Hoffmann, giovane avvocato di Basilea ed erede di Fritz Hoffmann-La Roche, fondatore dell’omonima casa farmaceutica (oggi Roche). I due erano molto affiatati e condividevano l’amore per l’arte contemporanea: entrarono velocemente a far parte della scena artistica di Parigi e Bruxelles collezionando le opere di artisti amici, tra cui Max Ernst, Joan Mirò, Pablo Picasso, Paul Klee e Mark Chagall.
HANDLE WITH CARE, 2012, Jean-Frederic Schnyder
Il trasferimento a Basilea
Nel 1930 si trasferirono a Basilea, dove Emanuel ricoprì il ruolo di vicedirettore della Hoffmann-La Roche per soli due anni (e diventò presidente della Basel Art Association), prima di morire in un tragico incidente automobilistico nel 1932. In onore del defunto marito, Maja decise di creare la Emanuel Hoffmann Foundation (di cui fu presidentessa fino al 1979), destinata – come ben specificato nell’atto costitutivo – “ad acquisire opere di artisti nuovi, che utilizzano mezzi di espressione al giorno d’oggi non ancora generalmente compresi”.
Lungimirante e aperta al futuro (si risposò in seconde nozze con il direttore d’orchestra Paul Sacher, con cui continuò a collezionare privatamente artisti del calibro di Joseph Beuys e Bruce Nauman), nel 1941 la Hoffmann-Stehlin decise di prestare permanentemente la collezione della Fondazione al Kunstmuseum Basel (tra le tante opere, ricordiamo Girafe en Feu (1936-1937) di Salvador Dalì, La Tour Eiffel (1910-1911) di Robert Delaunay e Schneefall (1965) di Joseph Beuys). Nel 1980 – dopo essere stata ritratta anche da Andy Warhol in Maja (Maja Sacher-Stehlin) (1980) – finanziò la costruzione di uno dei primi musei di arte contemporanea del mondo: il Museum für Gegenwartskunst, oggi Kunstmuseum Basel Gegenwart.
Nuova vita alla collezione dei nonni
Nel 1995 la nipote Maja Oeri (che condivide con la nonna lo stesso nome) è diventata presidentessa dell’Emanuel Hoffmann Foundation, dando una nuova vita alla collezione dei nonni. Non essendo più possibile ospitare tutte le opere degli Hoffmann al Kunstmuseum, la Oeri ha ideato il concetto “aperto” di Schaulager, finanziandolo tramite la Laurenz Foundation (da lei creata con il marito).
Di conseguenza, lo studio di architettura Herzog & de Meuron ha progettato un edificio moderno – per certi versi simile alla Tate Modern di Londra – confacente allo scopo. Se il piano terra e il piano inferiore sono dedicati alle mostre permanenti e temporanee, i tre piani superiori ospitano invece le storerooms modulabili con le opere della famiglia Hoffmann (visitabili su richiesta insieme alla libreria) non esposte al Kunstmuseum. Il feeling generale trasmesso è che l’edificio e la collezione sono meticolosamente curati, oltre che di altissimo livello.
Opere della collezione permanente della Fondazione Hoffmann
Due sono le opere della collezione permanente (entrambe al piano interrato): Untitled (1995-1997) di Robert Gober e Rattenkönig (1993) di Katharina Fritsch (foto apertura). La prima è un’opera site-specific (lo Schaulager è stato costruito dopo il suo acquisto, avvenuto nel 1999) dal sapore misterioso. Entrando nella grande stanza dedicata, si vede in primis una statua della Vergine Maria (trafitta da un immenso tubo) e una scala-cascata, con acqua che termina in un tombino e scompare nel nulla.
Untitled, 1995-1997, Robert Gober
Ai lati della statua sono collocate due valigie, posizionate su due grate sotto le quali scorre dell’acqua: qui si intravede la figura di un uomo – immerso nell’acqua fino alle ginocchia – con in braccio un bambino. Come spesso accade con le sue opere, Gober stupisce lo spettatore immergendolo in un’atmosfera sacrale, ma lasciandolo dubbioso sull’effettivo significato dell’installazione (mancando qui gli elementi più “classici” delle immagini religiose).
Untitled, 1995-1997, Robert Gober
La stanza a fianco ospita invece la monumentale scultura di Katharina Fritsch. Sedici imponenti ratti neri formano un circolo guardando l’osservatore, che può solo intravedere cosa avviene alle loro spalle. Le code sono intrecciate tra loro e formano un “gomitolo” inestricabile. L’opera richiama qui la mitologia tedesca e la tipica arte gotica mitteleuropea.
La nuova mostra temporanea in corso
La mostra temporanea visitabile fino al 19 novembre è invece OUT OF THE BOX, che celebra i 20 anni di apertura dello Schaulager. Il nome deriva dall’idea di open storage alla base del progetto espositivo: la mostra si sviluppa infatti in piccole stanze o le installazioni fanno umoristicamente riferimento al tema della scatola. Tra le opere dei tanti artisti rappresentati (tra cui Thomas Ruff, Robert Gober, Klara Lidén, Thomas Demand, Peter Fischli, Tacita Dean e Dieter Roth), particolarmente interessanti sono quelle di video-art, presenti in più stanze. Out to Lunch (2018) di Klara Lidén, ritrae simpaticamente l’artista mentre esce dal frigo di casa (In Closer Now (2022) invece Lidén rotola lungo la Rue Barbaroux di Marsiglia, mentre in Warm-up: State Hermitage Museum Theater (2014) prende parte a una classe di balletto del Mariinsky Ballet).
Laterne Grosse Version 2000-2003, Martin Honert
Wildfire (meditation on fire) (2019-2020) di David Claerbout ci fa riflettere sul fenomeno degli incendi boschivi, proiettandoci in una foresta idilliaca (creata tramite animazione 3D fatta al pc) che si trasforma presto in un immenso rogo. The Dante Project (2021-2023) di Tacita Dean ci porta nel viaggio effettuato da Dante nella Divina Commedia (il video è stato co-prodotto dalla Royal Opera House di Londra e dalla Paris Opéra per l’omonimo balletto), mentre con Rheinmetall/Victoria 8 (2003) Rodney Graham rallenta il costante ticchettio di una vecchia macchina da scrivere coprendola di neve.
Molto affascinanti sono anche i tre tappeti D.o.pe 01,07 e 09 (2022) di Thomas Ruff, realizzati con un particolare software che ha riprodotto sul velluto dei colorati frattali (prendendo ispirazione dal famoso libro di Aldous Huxley, The Doors of Perception (1954)). Infine, colpiscono l’occhio dell’osservatore anche i grattacieli HANDLE WITH CARE (2012) di Jean-Frédéric Schnyder (realizzati con scatole di banana) e Laterne (Grosse Version) (2000-2003) di Martin Honert, una gigantesca lanterna realizzata con pellicola UV, che ritrae un uomo sdraiato a letto intento a guardare il programma bavarese Spacenight degli anni ’90.