L’hanno chiamata Great Resignation o Big Quit, la dinamica generata dalla pandemia che ha portato la fuoriuscita dal mondo del lavoro dipendente di un certo numero di persone, negli Usa in particolare. Molti hanno cercato e trovato un modo per anticipare la pensione, togliendosi così dall’incertezza economica del mercato durante il Covid-19. Alcuni hanno deciso di cercare un migliore equilibrio tra impegno professionale e vita privata, evidentemente potendosi permettere l’attesa. Ma c’è anche una gran parte tra loro che ha perso il lavoro – o ha visto ridursi in modo importante il proprio reddito. In questo periodo ha avuto tempo per dar forma a un’idea che da tempo era relegata in un cassetto della mente e ha deciso di lanciarsi nella propria piccola impresa.
Sta di fatto che solo nel primo anno di pandemia – marzo 2020-marzo 2021 – sono nati 4,4 milioni di nuove attività di tipo imprenditoriale, un aumento del 10% condiviso da ben 30 stati americani. L’età media dei nuovi imprenditori si concentra nella fascia 45-55. Secondo la Kauffman Foundation, circa il 30% di chi ha aperto una propria attività nel 2020 era disoccupato, il doppio del solito. Ma guardando l’altro 70% del bicchiere, si dimostra una volta di più come la crisi sia occasione di rinascita e di scoperta.
Le motivazioni per mettersi in proprio sono sicuramente le più svariate, ma l’effetto c’è per restare e molte di queste piccole attività nei prossimi anni assumeranno personale creando un indotto economico. Gli studi che sono stati condotti sulle startup di successo hanno ormai chiarito che, lontano da quanto si possa pensare, l’età giusta per fondare un’impresa di successo è oltre i 40 anni e se si restringe l’osservazione al mercato tecnologico, l’età media dei fondatori delle startup che riempiono il quartile delle aziende più performanti sale a 45 anni al momento del varo dell’impresa. Questo perché l’esperienza, se associata a curiosità e spirito venture, crea una spinta fondamentale per la riuscita del business. E siccome l’esperienza nelle persone over 45 esiste sempre, si tratta solo di tirar fuori le competenze trasversali che spesso non sono in piena luce e quella fiducia in se stessi che molte volte è stata sommersa dagli eventi o da una forma di pregiudizio per la professionalità senior.
Così negli Usa si fondano scuole di start-up, scuole dove imparare come valorizzare le proprie risorse e canalizzarle verso l’avvio di un bu- siness. Nel caso della Startup School for Seniors di Suzanne Noble e Mark Elliott, dall’ottobre 2020 quando hanno aperto i battenti hanno scortato 170 persone verso l’imprenditorialità, un terzo dei quali ha cominciato a fatturare prima ancora della fine del corso. Nel nostro Paese una vera e propria offerta di formazione per senior che vogliono diventare imprenditori non ha ancora preso piede, salvo alcune chicche come il percorso Elab di Polihub per senior disegnato per trasformare professionisti esperti in mentori di start- up, all’interno di una comunità di advisor. Oppure società di career couching come Intoo che aiutano a immaginare, tra i possibili sbocchi di carriera e replacement, anche un percorso imprendi- toriale. Quando sento parlare del ruolo del mentore in una nuova impresa, specie se disruptive rispetto al mercato di riferimento, ripenso spesso a Chip Conley che ora dirige la sua Modern Elder Accademy per imparare a invecchiare con grazia e consapevolezza, ovvero nel modo più felice possibile. La sua storia racconta che, già intorno ai 50 anni, conosce tre ragazzi con un’idea brillante in testa per sovvertire il mer- cato dell’ospitalità, da cui Chip veniva, che lo assoldano come mentore. Lui ci mette l’esperienza loro la visione e la tecnologia. È così che nasce Airbnb. In qualche caso non c’è nemmeno bisogno di affidare la visione a un gruppo di ragazzi. Come per New Tech Targets (NTT), una start-up innovativa cui si deve la realizzazione di un impianto di produzione di laminati tecnici che prevede la totale abolizione dell’utilizzo di solventi e la riduzione dell’energia impiegata del 70%. I fondatori? Un ingegnere civile di 71 anni e un chimico di 67.
Secondo la Fondazione Human Plus, il Politecnico e l’Università degli Studi di Torino, che hanno sviluppato una ricerca sul tema, a fare la differenza sono una serie di qualità per nulla legate all’età: resilienza, passione, competenze trasversali, network sociale. I dati finora raccolti attraverso il loro formulario Steps su 170 startupper italiani con un’età media di 40 anni (minimo 21; massimo 68) lo conferma. A sottolinearlo è l’Osservatorio Senior. A questo proposito Manageritalia ha pubblicato la storia di uno startupper italiano senior che, dopo aver fatto una lunga esperienza nel marketing digitale, a 47 anni ha deciso di aprire la propria società che offre itinerari di turismo esperienziale, ItalyXP. La prima cosa che dice è che per riuscire non bisogna sentirsi vecchi. E questa mi è sembrata la chiave. “Non sentirsi senior”, dice il fondatore di ItalyXP Saverio Castilletti a Manageritalia, “A dispetto dell’evidenza anagrafica, se decidi di costruire una startup devi essere curioso, continuare a leggere e studiare, e pensare con la freschezza e l’ingenuità dei 20 anni. La giusta attitudine è fondamentale e ti aiuta a sentirti giovane e a continuare ad aver voglia di innovare e sperimentare”. E non pensiamo che ingenuità sia una parola malriposta in questo contesto. Significa non lasciarsi mai scappare il refrain si è sempre fatto così. Aprire la mente a nuovi modi di fare, pensare, produrre, consumare, vivere.
La vita ci riserva ora una longevità inedita e un lavoro iniziato a 50 anni potrebbe durarne altri 20/25, specie se è un lavoro in proprio al traino di una passione. È sicuramente meno difficile che immaginare di continuare un lavoro alle dipendenze di un’azienda per altri 20 anni. Ma serve spirito di iniziativa, sicuramente una dose di risparmi da investire, curiosità e l’umiltà di condividere con gli altri il proprio progetto senza però permettere che lo smontino. Accettare critiche e spunti è un’ottima cosa, e mettersi continuamente in discussione fondamentale, ma lasciare che qualcuno smonti la nostra idea è spesso un modo per non prendere il toro per le corna, per avere una scusa per non buttarsi.
Ma, se è vero che l’età per fondare un’azienda di successo è 40- 45 anni perché i venture capitalist investono solo nelle startup giovani? Forse perché i giovani sono quelli che hanno più bisogno di supporto finanziario o perché anche i venture capitalist, quei pochi che ci sono da noi, sono vittime del cliché Zuckerberg che per fare una startup di successo bisogna essere giovani, spregiudicati e avere un garage da cui far partire il tutto.
Articolo tratto dal magazine We Wealth di febbraio 2022
L’hanno chiamata Great Resignation o Big Quit, la dinamica generata dalla pandemia che ha portato la fuoriuscita dal mondo del lavoro dipendente di un certo numero di persone, negli Usa in particolare. Molti hanno cercato e trovato un modo per anticipare la pensione, togliendosi così dall’incertezza…