La scorsa primavera è stato introdotto in Italia un contributo solidaristico di carattere straordinario contro il caro bollette, al fine di tentare di contrastare (colpendo gli extra profitti delle società energetiche) gli effetti dell’eccezionale rincaro del costo dell’energia. La misura, contenuta nell’art. 37 del Dl 21 marzo 2022, n. 21, assume particolare importanza nel contesto giuridico tributario, perché consiste – per il 2022 – in una forma straordinaria (e di rilevantissimo impatto economico finanziario) di prelievo a carico delle imprese operanti nel settore energetico.
Inquadramento del contributo che punta a colpire gli extra profitti delle società energetiche
Tale contributo si caratterizza per essere diretto a colpire i supposti “extra profitti” che le società energetiche avrebbero maturato in ragione dell’aumento dei prezzi dell’energia.
Come spesso accade anche in altri ambiti della materia fiscale (si pensi ad esempio alla tutela ambientale) – tale prelievo è stato introdotto dal legislatore italiano su impulso dell’Unione europea.
In termini più specifici, l’applicazione del contributo straordinario attinge al piano europeo cosiddetto “REPowerEU”, presentato dalla Commissione europea lo scorso 8 marzo, ove è stato concesso agli Stati membri di prevedere misure fiscali temporanee per finanziare gli interventi emergenziali necessari a fronteggiare la crisi energetica – anche se va subito precisato che le caratteristiche che ha assunto il prelievo introdotto nel nostro Paese non paiono collimare con le indicazioni comunitarie.
Inquadriamo ora sinteticamente il perimetro applicativo del contributo straordinario, verificandone l’ambito di operatività sotto il profilo soggettivo e oggettivo, con uno sguardo alle modalità di determinazione della base imponibile, prima di soffermarci sui principali profili critici che la misura – come era prevedibile – ha sollevato.
Avendo riguardo al primo aspetto, in base a quanto previsto dall’art. 37, primo comma, del Dl 21 marzo del 2022, il contributo straordinario sui cosiddetti “extra profitti” delle società energetiche è posto a carico dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attività di produzione di energia elettrica, dei soggetti che esercitano l’attività di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, dei soggetti rivenditori di energia elettrica di gas metano e di gas naturale, e dei soggetti che esercitano l’attività di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi.
Inoltre, a mente della medesima disposizione, devono considerarsi tenuti al versamento del contributo straordinario anche quelle società che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi, o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea.
Con riferimento alle modalità di definizione della base imponibile relativa al contributo straordinario delle società energetiche, occorre evidenziare che secondo il citato art. 37, ai parr. 2 e 3, questa è costituita dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 31 marzo 2021. Avendo riguardo, invece, all’aliquota applicabile, la medesima disposizione specifica che il contributo si applichi nella misura del 25% nei casi in cui il suddetto incremento sia superiore a 5 milioni di euro.
Critiche al contributo diretto a colpire i supposti extra profitti delle società energetiche
La misura, come era appunto facilmente prevedibile, ha suscitato una valanga di critiche, evidenziando – pur nella semplicità della disciplina ora sinteticamente accennata – tutta una serie di profili altamente problematici.
Vediamone qualcuno.
In primo luogo, vi sono seri dubbi sulla ragionevolezza dei criteri di calcolo della base imponibile che caratterizzano il contributo straordinario introdotto dall’art. 37, atteso che lo stesso sembrerebbe essere calcolato su di un imponibile il cui volume può dipendere da circostanze del tutto casuali e transitorie (basti pensare, ad esempio, al numero di operazioni effettuate nel periodo di riferimento).
Sul punto, desta peraltro fortissime perplessità la previsione del considerare rilevanti, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini del contributo straordinario, anche le accise – le quali vengono indicate nelle fatture attive ed incassate, per poi essere versate all’Erario; e sempre a tale proposito, la disciplina normativa non consente di tenere in considerazione, nel calcolo della base imponibile, altri elementi rilevanti, quali ad esempio gli oneri finanziari.
In secondo luogo, vi sono delicatissimi profili di illegittimità costituzionale del contributo di cui stiamo parlando alla luce del divieto di indeducibilità del contributo straordinario dalle imposte sui redditi e dall’Irap, in contrasto addirittura con la recente giurisprudenza della Corte. In tal senso, il tributo straordinario pare confliggere con gli artt. 3 e 53 Cost., atteso che è intimamente caratterizzato non soltanto dall’inerenza all’attività di impresa ma, addirittura, da una strettissima inerenza alla produzione del valore aggiunto tassabile e, di riflesso, del reddito di impresa.
Alla luce di tali considerazioni, che – val la pena ribadirlo, toccano alcuni soltanto dei profili critici suscitati – il contributo straordinario – che in base al disposto dell’art. 37 avrebbe dovuto essere liquidato e versato per un importo pari al 40%, a titolo di acconto, entro il 30 giugno 2022 (e corrisposto per la restante parte, a saldo, entro il 30 novembre 2022) – sui cosiddetti extra profitti delle società energetiche sarà senza dubbio soggetto a prevedibili vicessitudini future (neppure troppo lontane nel tempo) che ne metteranno in discussione la legittimità e la conformità rispetto ai principi generali dell’ordinamento interno e comunitario.