Nel 2023 gli investimenti totali in equity di startup hi-tech ammontano a 1,13 miliardi di euro, in calo sia rispetto al 2022 (1,86 miliardi) che rispetto al 2021 (1,39 miliardi)
Ghezzi: “Startup studio, venture builder e affini devono essere in grado di compensare più che proporzionalmente il declino di altri attori informali che stanno via via sostituendo”
Freno a mano tirato per le startup italiane hi tech. Con 1,13 miliardi di investimenti totali in equity da inizio anno, le neo-aziende tricolori incassano una contrazione del -39% a fronte degli 1,86 miliardi del 2022. Complice l’assenza dei grandi round di finanziamento sopra i 100 milioni di euro che avevano caratterizzato lo scorso biennio. Ma non solo. A scattare la fotografia dell’ecosistema è l’undicesima edizione dell’Osservatorio startup hi-tech della School of management del Politecnico di Milano, realizzato in collaborazione con InnovUp – Italian innovation & startup ecosystem e presentato in occasione del convegno Digital & open innovation 2024: nuove sfide per imprese e startup. We Wealth ha intercettato Antonio Ghezzi, direttore dell’osservatorio, per analizzarne i risultati.
“La battuta d’arresto dei finanziamenti alle startup italiane può essere attribuita a due principali fattori”, spiega Ghezzi. “In primo luogo all’assenza di grandi round superiori ai 100 milioni di euro – senza i quali il totale della raccolta risulta in linea con 12 mesi fa – che avevano caratterizzato gli anni precedenti e che sono tipicamente legati ai finanziamenti internazionali”. Scorrendo i numeri, risulta infatti evidente come gli investimenti da parte di attori formali (fondi di venture capital indipendenti, fondi corporate venture capital aziendali e fondi governativi) continuino a guidare l’intero ecosistema, limitando la loro decrescita al -14% anno su anno. I finanziamenti da attori informali (quali venture incubator, family office, club deal, angel network, independent business angel, piattaforme di equity crowdfunding, aziende non dotate di fondo strutturato di corporate venture capital, e nuove forme di venturing come startup studio e venture builder) riportano un calo di circa il 43%. Ma è la componente dei finanziamenti internazionali che restituisce la contrazione più rilevante, pari al -55%. Un risultato che riflette la sopracitata assenza di mega round, tradizionalmente alimentati da player internazionali.
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Parallelamente, aggiunge Ghezzi, l’ecosistema ha sofferto dell’instabilità geopolitica e dell’andamento economico e finanziario, caratterizzati da aumenti dei tassi di interesse e incremento dell’inflazione che hanno influito negativamente sugli investimenti in equity. “Per rilanciare le prospettive delle startup italiane, in un contesto macroeconomico che continua a mostrare sfide significative, è necessario uno sforzo in controtendenza sotto forma di un impegno congiunto e costante da parte dei policy maker, delle istituzioni e delle imprese nei confronti dell’ecosistema, per creare un ambiente favorevole allo sviluppo di nuove realtà”, suggerisce l’esperto. “Nel corso del prossimo anno, questo sforzo potrà tuttavia concretizzarsi solo se tutte le componenti dell’ecosistema lavoreranno nella stessa direzione”, avverte.
Secondo Ghezzi, il mondo dei venture capital indipendenti deve proseguire nel suo ruolo di risorsa infrastrutturale solida, grazie a competenze, pianificazione e relazioni internazionali; le nuove forme di supporto alle startup, quali startup studio, venture builder e affini (caratterizzate da significativa vivacità ma ancora in uno stadio embrionale di sviluppo) devono essere in grado di compensare più che proporzionalmente il declino di altri attori informali che stanno via via sostituendo; le corporate devono iniziare a giocare sistematicamente un ruolo nella crescita delle startup, attraverso investimenti strategici mirati; e infine le istituzioni non devono “rimangiarsi la parola” rispetto all’effettiva allocazione di fondi da tempo promessa, continuando a scommettere in maniera coerente sul ruolo vitale dell’imprenditorialità innovativa per lo sviluppo e la competitività del Paese.