Sono numerosi i casi in cui ci si trova confrontati con situazioni per cui il trust rappresenta lo strumento più idoneo per risolvere una situazione complessa, per tutelare la famiglia o per realizzare in sicurezza un progetto imprenditoriale. Ci si chiede quindi per quale motivo chi dovrebbe servirsi del trust decida talvolta di ripiegare su altre soluzioni, spesso più macchinose, meno efficaci e, in definitiva, meno tutelanti.
La risposta è da ricercarsi in alcune ricorrenti idee preconcette su questo strumento, che oggi non dovrebbero più sussistere.
Il primo e principale timore per chi si approccia al trust riguarda lo spossessamento. Si pensa che costituire un trust significhi conferire i propri beni a un soggetto terzo più o meno lontano (il trustee), per poi dargli “carta bianca” e scomparire dalla scena, lascandolo libero di fare ciò che desidera con beni apportati. Nulla di tutto questo risponde alla realtà.
Innanzitutto il disponente non è obbligato a disinteressarsi del trust che ha creato, al contrario: la legge stessa gli dà la facoltà di far sentire la sua voce, di indirizzare il trustee mediante lettere di desiderio, di ritenere certi poteri e prerogative. In certe circostanze può anche rientrare in possesso dei beni apportati (è il caso dei trust revocabili).
Se invece si spossessa in modo pieno e definitivo dei beni in trust (come nel caso di trust irrevocabili), non lo fa mai lasciando al trustee poteri illimitati, ma stabilisce, nell’atto di trust, tutta una serie di limitazioni e paletti entro cui il trustee deve muoversi. Il grado e le regole dello spossessamento dipendono dunque dal disponente e sono commisurati alle sue esigenze e agli obiettivi che si propone.
Affinché le regole del trust e le garanzie definite dalla legge siano applicate con efficacia, è tuttavia importante che venga scelto un trustee idoneo. Esistono numerose società che svolgono professionalmente questo ruolo, organizzate e competenti e che operano in piena trasparenza e nel rispetto della normativa vigente. È tuttavia fondamentale che questi soggetti siano ubicati in giurisdizioni sicure, dove la certezza del diritto e la stabilità politica sono valori consolidati. Se poi si tratta di trustee muniti di apposita licenza per svolgere il proprio compito, la garanzia è addirittura fornita dalle Autorità.
In aggiunta il disponente ha la possibilità di nominare un protector, in genere un professionista di fiducia, con il compito di vigilare sull’operato del trustee e di sostituirlo ove non risponda alle aspettative. Il trust può inoltre prevedere la presenza di comitati di esperti e professionisti, che coadiuvano il trustee nella gestione di determinati beni. Il trustee, insomma, non è mai lasciato solo. Ha regole precise da seguire e lavora in sinergia con il disponente, con altri professionisti e, in base alle circostanze, con i beneficiari.
Altre preoccupazioni ricorrenti derivano dal timore che il trust sia malvisto dalle autorità, anche fiscali, in quanto in passato è stato utilizzato per scopi elusivi. Certo ci sono stati e ci sono casi di questo genere, ma ormai il trust è fortemente monitorato. Si pensi ai registri pubblici dei beneficiari, alle regole sullo scambio automatico di informazioni, alle norme antiriciclaggio cui i trustee devono attenersi. Sono tutti strumenti che scoraggiano un uso distorto del trust.
Gli Stati hanno ben compreso l’utilità del trust e lo dimostrano regolandolo e legittimandolo in vari settori (si pensi alla legge sul “dopo di noi”, o alle recenti disposizioni di Banca d’Italia che permette ai trust di acquisire le partecipazioni qualificate di una banca). Gli operatori finanziari, i pubblici ufficiali, le amministrazioni dispongono di circolari e linee guida che permettono loro di relazionarsi col trust come con qualsiasi altra entità giuridica.
Nemmeno il tema dei costi è una valida ragione per ritenere il trust dedicato esclusivamente a una ristretta cerchia di persone facoltose. Il costo di un trust dipende dalla sua complessità, dall’impegno che richiede nella gestione, dall’ammontare dei beni apportati, dalle responsabilità che il trustee si assume per amministrarlo. È rapportato quindi alle esigenze del disponente e dei beneficiari ed è più trasparente e spesso meno oneroso di quello di altri, ben più noti, strumenti di pianificazione.
Da ultimo, c’è chi guarda con timore alle leggi regolatrici straniere, che potrebbero spostare in Paesi lontani la giurisdizione sul trust, soprattutto in caso di controversie. Anche questo è un timore infondato. Ci sono infatti numerose leggi regolatrici che permettono di approfittare dell’arbitrato, da instaurarsi nel Paese di residenza del disponente o anche del trustee, che va scelto in giurisdizioni vicine. È importante a questo fine che lo strumento di trust sia scritto da professionisti, in grado di capire e scegliere la giusta legge regolatrice, oltre che di declinare le clausole del trust in modo da soddisfare i desiderata del disponente.
Insomma, è giunto il momento di lasciare da parte timori e pregiudizi e di guardare al trust per quello che è, ossia un consolidato e internazionalmente riconosciuto strumento di segregazione patrimoniale, tramite il quale è possibile tutelare i più svariati diritti e interessi meritevoli. Uno strumento che va conosciuto, capito e apprezzato e di cui è possibile servirsi con la più ampia fiducia.