Dal 1/7 e fino al 31/12/2020 la Germania sarà per la tredicesima volta alla presidenza del Consiglio Ue. L’ultima volta di Angela Merkel è stata nel 2007
La crisi covid ha gettato i paesi Ue in uno stato di disparità relativa che aumenta la necessità di scambi negoziali. La Germania, da sempre contraria a politiche di condivisione dei rischi, ha fatto il salto culturale di avvicinarsi alle istanze dei paesi più “spendaccioni”
Quella del recovery fund non è però la sola questione scottante sul tavolo della neo presidente
Le sfide del semestre Ue della presidenza tedesca
Soprattutto, i teutonici dovranno fare da mediatori in tempi estremamente difficili, senza precedenti. Mai i leader europei si sono trovati a dover concertare interventi di ripresa economica in maniera così coordinata e davvero “comune”. Di solito, il ruolo del presidente di turno è di tipo notarile. Stavolta è però improbabile che la Germania non abbia un peso politico specifico nell’ambito delle riunioni. Il paese dovrà fare da perno in una litigiosa Europa. Su più fronti, tutti ostici e caldissimi.
L’approvazione del fondo europeo di ripresa
È vero che gli Stati dell’Ue si trovano nella più profonda recessione della storia del dopoguerra. Ma è anche vero che la crisi – lungi dall’essere “simmetrica” – ha colpito in maniera diversa i vari paesi membri. Questa disparità relativa fra gli Stati aumenta la necessità di scambi negoziali. La Germania, da sempre contraria a politiche di condivisione dei rischi, ha già fatto un salto culturale. Il paese infatti, in un primo momento capofila intransigente dei paesi frugali o “rigoristi” del Nord Europa, si è avvicinata alle posizioni delle nazioni europee più spendaccione, anche grazie alla mediazione della Francia di Emmanuel Macron. “Merito di Macron, Merkel e Von der Leyen è sdoganare gli eurobond“, commenta Corrado Passera. Ciò però non basta: il recovery fund di Ursula Von der Leyen, il Next generation fund, necessita di un’approvazione unanime. E membri come Austria, Danimarca, Olanda, Finlandia non sembrano avere intenzione di cedere.
I negoziati per i rapporti commerciali Ue-Regno Unito nel post Brexit
Vi è poi il fronte Brexit. I lunghi mesi di lockdown hanno fatto distogliere l’attenzione all’opinione pubblica sui problemi dei negoziati commerciali post Brexit. Più che di “problemi”, forse bisognerebbe parlare di “partenza”. Le trattative finora infatti sembrano aver portato a un nulla di fatto. Se entro il 31/12/2020 (termine del semestre di presidenza tedesca) Ue e Regno Unito non dovessero raggiungere un accordo sui rapporti commerciali con l’ex stato membro, si verificherebbe di fatto la “Hard Brexit” (dagli analisti temuta più per il Regno Unito che per l’Ue, in realtà).
Corollario della Brexit è l’ascesa dei movimenti populisti, con la deriva autoritaria dei paesi dell’Est. I leder dei partiti anti-europeisti attendono al varco il fallimento dell’Europa, complice la crisi covid. Pressioni che di sicuro non aiuteranno la serenità politica di Frau Merkel. Esempio ne è l’italica vicenda (tutta ideologica) del Mes.
Per l’Europa, la prova più difficile
L’Europa si trova ancora una volta ad affrontare una prova difficile, la più difficile. Alcuni osservano che la Merkel ha perseverato nel voler restare al potere proprio per assumere ancora la presidenza del Consiglio. Cuore del suo mandato resta comunque l’approvazione del Next Generation Eu. Sarebbe la risposta più forte e concreta agli euroscettici e ai populisti. Un fondo in cui ogni paese versa a seconda delle proprie capacità e riceve a seconda delle sue esigenze, il primo passo verso una nuova Europa. Il prossimo appuntamento è ora per il Consiglio del 17 e del 18 luglio. Già in quell’occasione sarà chiaro se la Ph.D in chimica riuscirà a convincere tutti i paesi dell’Ue e sostenere il piano e a creare le basi per una vera Unione.
Secondo Klaus Regling, (direttore generale del Meccanismo europeo di stabilità), sarebbe in atto un “cambiamento significativo nell’atteggiamento dei mercati”. Vale a dire un maggiore scetticismo nei confronti degli Stati Uniti, percepiti come instabili dai mercati, a vantaggio dell’Ue. La prima risposta la darà l’apertura dei mercati il 1/7.