Esperienza e maturità digitale si collocano al primo posto tra i fattori che condizionano la scelta di una società di wealth management rispetto a un’altra
Il 43% degli affluent afferma di affidarsi a consulenti patrimoniali indipendenti, il 17% a banche retail e appena il 5% a società di gestione patrimoniale
Gli ultra-ricchi fanno i conti con l’incertezza geopolitica e macroeconomica che, secondo gli ultimi dati del World wealth report di Capgemini, solo lo scorso anno ha innescato una contrazione dei loro patrimoni di 3mila miliardi di dollari. Un contesto che li sta spingendo a raddrizzare i propri portafogli; ma anche a valutare nuove società di gestione: solo uno su due si dichiara infatti soddisfatto delle competenze del proprio wealth manager e quasi il 31% sarebbe propenso a cambiare gestore nei prossimi mesi, alla ricerca di servizi a valore aggiunto.
“Le società di gestione patrimoniale si trovano a un punto di svolta critico poiché il macroambiente sta imponendo un cambiamento nella mentalità e nei modelli di business per guidare una crescita sostenibile dei ricavi”, osserva Dario Patrizi, financial services director di Capgemini in Italia. “L’agilità e l’adattabilità saranno caratteristiche fondamentali per le persone che dispongono di un patrimonio netto elevato, in quanto la loro attenzione è orientata alla conservazione della ricchezza. Per rimanere rilevante, il settore dovrà rafforzare il valore, responsabilizzare i responsabili delle relazioni e sbloccare nuove opportunità di crescita”, aggiunge, spiegando come il loro successo sarà legato anche “alla risoluzione dei problemi relativi all’immaturità digitale nella catena del valore della ricchezza”.
L’immaturità digitale allontana gli Hnwi
Focalizzandoci su quest’ultimo punto, solo un High net worth individual su due si dichiara soddisfatto dei punti di contatto offerti dalla propria società di gestione patrimoniale. Esperienza e maturità digitale si collocano al primo posto tra i fattori che ne condizionano infatti la scelta di un wealth manager. Nell’attuale mondo post-pandemico, gli ultra-ricchi desiderano raggiungere i loro consulenti attraverso diversi canali, ma il 58% dei relationship manager (consulenti finanziari o patrimoniali) intervistati dichiara che essere disponibili 24 ore su 24 e sette giorni su sette – nel rispetto delle aspettative dei clienti – rappresenti una sfida. Tra l’altro, stando a quanto risulta ai ricercatori, i diversi canali di contatto tra consulenti e clienti non risultano sincronizzati. Nonostante la maggior parte delle società di gestione patrimoniale offra un’applicazione mobile, per esempio, molti Hnwi preferiscono contattare telefonicamente i propri consulenti per svolgere operazioni di base, come l’esecuzione delle transazioni o l’accesso al portafoglio.
Come ridurre il tasso di abbandono
Il 76% dei 95 dirigenti del settore wealth manager intercettati (con una buona rappresentanza di società di gestione patrimoniale pure, banche universali, società di broker, dealer indipendenti e family office) ritiene che il miglioramento della customer experience sia fondamentale per ridurre il tasso di abbandono. Il 66% dichiara di dare priorità all’aggiornamento dell’infrastruttura digitale e il 48% di esplorare partnership o sinergie con terze parti affidabili per massimizzare la produttività. Solo uno su tre crede di fatto che la propria azienda presenti un’elevata maturità digitale end-to-end; inoltre, il ritardo nella preparazione digitale e l’inadeguatezza delle piattaforme omnicanale spingerebbero i consulenti a occuparsi di attività non fondamentali, riservando solo un terzo del loro tempo alle attività di pre-sales e all’interazione con i clienti. Incidendo, in definitiva, sulla soddisfazione degli stessi detentori di grandi patrimoni.
Perché puntare sul segmento “affluent”
Secondo gli esperti, l’industria del wealth management dovrebbe ampliare il bacino di potenziali clienti per garantirsi una crescita nel lungo termine. In primis, puntando sul segmento affluent, ovvero soggetti con un patrimonio investibile tipicamente compreso tra 250mila dollari e 1 milione di dollari. Nord America (46%) e Asia Pacifico (32%) accolgono la quota maggiore di affluent per ricchezza totale e dimensione della popolazione. Ma sebbene il loro patrimonio sfiori i 27mila miliardi di dollari (quasi il 32% del patrimonio totale degli Hnwi), il 34% delle società non sta ancora esplorando questo segmento.
Oggi, il 43% degli affluent afferma di affidarsi a consulenti patrimoniali indipendenti, il 17% a banche retail e appena il 5% a società di gestione patrimoniale; una quota del 20% preferisce puntare sul fai-da-te. Inoltre, il 46% afferma che le società di wealth management non offrono loro servizi a valore aggiunto (come la pianificazione fiscale o la gestione dei mutui) e solo il 18% si dichiara soddisfatto del proprio consulente. Per cogliere la sfida, scrivono gli esperti, l’industria dovrebbe perseguire tre obiettivi:
- sfruttare la struttura di wealth management esistente accelerando la trasformazione digitale end-to-end;
- sviluppare una proposta di wealth-as-a-service utilizzando canali di terze parti, tra cui banche retail e consulenti indipendenti;
- e creare una piattaforma dedicata ai servizi di wealth management con strumenti self-service per migliorare la gestione dei clienti.
Come “aggiustano” i portafogli gli ultra-ricchi
Ricordiamo che in questo contesto il 67% degli oltre 3mila High net worth individual raggiunti considera la conservazione del patrimonio un obiettivo cruciale, tale da richiedere una modifica dell’asset allocation. Nel complesso, la quota di azioni in portafoglio cala di quasi sei punti percentuali rispetto allo scorso anno, scendendo al 23%. La percentuale media di liquidità sale invece di circa 10 punti percentuali, raggiungendo il 34% a gennaio 2023, mentre quella di reddito fisso si contrae di tre punti percentuali per toccare il 15%. Resta invariata la quota di investimenti alternativi, nei confronti dei quali anche l’approccio dei wealth manager resta improntato alla cautela. Solo un terzo dei dirigenti intercettati dichiara di avere intenzione di aggiungere più alternativi nei portafogli dei propri clienti nel prossimo anno. Parallelamente, sia gli Hnwi che le società di gestione patrimoniale continuano invece a mostrare interesse per i prodotti Esg (Environmental, social, governance), con il 41% dei primi che considera gli investimenti a impatto una priorità assoluta.