D’altro canto, i critici all’introduzione di misure di contenimento o contrasto ai pagamenti in contanti osservano che limitazioni troppo severe si porrebbero in contrasto, da un lato, con la legittima esigenza degli operatori economici e, in generale, dei cittadini di disporre di strumenti alternativi di facile e immediato utilizzo e non costosi e, dall’altro, con l’altrettanto legittima aspettativa di garantire la privacy dei singoli in relazione alle modalità con cui intendono spendere il proprio denaro.
Data questa diversità di approccio, conseguenza, quanto meno in parte, di visioni diverse sul piano politico, non stupisce che le disposizioni in tema di uso del contante siano state modificate molto nel corso del tempo, al variare dei governi che si sono via via succeduti. Dal 1991, infatti, quando è stato introdotto il primo limite, allora fissato a 20 milioni di lire (si veda la legge 197 del 1991), convertiti poi in euro 10.329,14 al momento del passaggio dalla lira all’euro, si è passati a 12.500 euro nel 2003, poi a 5.000 euro nel 2010, a 1.000 euro nel 2011, a 3.000 euro nel 2016 e agli attuali 2.000, valevoli dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2022, secondo la normativa attualmente vigente (si veda l’art. 49 del decreto legislativo 231 del 2007 come modificato dal decreto legge n. 124 del 2019), la soglia scenderà a 1.000 euro.
Sono naturalmente previste deroghe, fra le quali conviene citare l’assenza di limiti per i pagamenti effettuati allo Stato e agli enti pubblici, per i pagamenti effettuati mediante la consegna del contante a banche e altri intermediari abilitati, per i pagamenti in cui siano parte banche, Poste Italiane, istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento nonché per i pagamenti effettuati a ufficiali giudiziari per evitare il pignoramento.
È inoltre previsto che certi pagamenti in contanti effettuati da cittadini non residenti in Italia a esercenti il commercio al minuto (ad esempio, negozi etc.) e ad agenzie di viaggio possano essere effettuati fino all’importo di 15.000 euro, al fine, evidentemente, di favorire la spesa dei turisti che visitano il nostro paese. Infine, è fissata un tetto di 1.000 euro per le rimesse di denaro dall’Italia mediante il circuito di money transfer.
Le soglie di cui sopra sono fissate per singola transazione, talché nel caso di un’operazione di valore superiore alla soglia applicabile (ad esempio, il pagamento di 3.000 euro per acquistare un gioiello da parte di un soggetto residente in Italia, cui è attualmente applicabile il limite di 2.000 euro), l’eventuale pagamento frazionato non impedisce il superamento della soglia, dovendosi considerare l’importo complessivo dell’operazione che ha dato origine al pagamento (cioè, con riferimento all’esempio di cui sopra, l’effettuazione di due pagamenti in contanti di 1.500 euro ciascuno e, quindi, sotto soglia se presi singolarmente, comporta in ogni caso il superamento del limite, dovendosi a questo fine considerare l’importo complessivo di 3.000 euro).
È stato, inoltre, chiarito che i pagamenti interessati da questi limiti sono quelli che intervengono fra soggetti giuridici diversi, rimanendo di conseguenza esclusi quelli effettuati da un soggetto a favore di se stesso (ad esempio, i pagamenti effettuati fra sedi secondarie della stessa società o i prelievi e i versamenti in contanti da e su un conto corrente da parte di un unico soggetto).
Al fine di favorire l’utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al contante sono previste sanzioni per chi rifiuta pagamenti elettronici, cioè mediante carte di credito o di debito, nell’esercizio di attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi anche professionali. Rimane ferma l’esenzione dall’obbligo di accettare pagamenti elettronici in caso di impossibilità tecnica.
Per chi viola il divieto di effettuazione di pagamenti in contanti oltre le soglie di cui sopra è inoltre prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro (1.000 euro a partire dal 1° gennaio 2022) a 50.000 euro, quintuplicata nel minimo e nel massimo nel caso di pagamenti in contanti superiori a 250.000 euro. La sanzione è applicabile sia a chi effettua il pagamento sia a chi lo riceve.
L’anagrafe dei rapporti finanziari
Un altro set di disposizioni che riguardano il denaro contante è quello relativo all’istituzione e al funzionamento dell’anagrafe dei rapporti finanziari, introdotta quasi 10 anni fa dal decreto legge n. 201 del 2011.
L’anagrafe dei rapporti finanziari è un’apposita sezione dell’anagrafe tributaria, nella quale confluiscono, sulla base di apposite segnalazioni da parte degli intermediari finanziari, per ciascuna posizione (come per esempio, per ciascun conto aperto presso tali intermediari) il saldo iniziale del conto, il saldo finale, il totale degli accrediti e degli addebiti su tale conto e la sua giacenza media.
Lo scopo di questo database è evidentemente il contrasto all’evasione fiscale, perché mette l’amministrazione finanziaria a conoscenza della disponibilità di denaro dei contribuenti e delle relative variazioni, rendendo possibile l’incrocio con i dati provenienti dalle dichiarazioni dei redditi e Iva e mettendo l’amministrazione in condizione di rilevare eventuali anomalie e scostamenti. Ad esempio, risulta possibile verificare se le movimentazioni finanziarie sui conti intestati a un dato contribuente siano o meno coerenti con i volumi di ricavi e di costi indicati in dichiarazione, indirizzando quindi le indagini fiscali verso quei contribuenti per i quali si siano riscontrate anomalie (ad esempio, ricavi o compensi dichiarati per 100.000 euro e movimentazioni in entrata sui conti bancari per 300.000 euro).
Chiaramente, lo strumento non si presta a conclusioni definitive (potendo legittimamente verificarsi situazioni in cui i menzionati scostamenti possono essere del tutto fisiologici, si pensi a un’eredità, alla vendita di un immobile o a una vincita alla lotteria, solo per fare alcuni esempi), ma rappresenta indubbiamente un indicatore potente di situazioni potenzialmente anomale, meritevoli di essere indagate meglio e, quindi, uno strumento potenzialmente molto efficace nell’indirizzare l’attività di ispezione e controllo dell’amministrazione verso situazioni di rischio.
In realtà, nonostante sia stata istituita quasi 10 anni fa, l’anagrafe dei rapporti finanziari è stata per alcuni anni utilizzata molto ai fini della determinazione dell’indicatore Isee per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate, ma poco ai fini dell’analisi del rischio di evasione e dell’individuazione delle situazioni di rischio. Più recentemente, a partire dal 2018, con l’emanazione di due provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate, il ricorso a questo strumento con funzione di lotta all’evasione ha subito un’accelerazione significativa. L’amministrazione ha infatti avviato la sperimentazione (per le società di persone e di capitali) di una procedura di analisi del rischio di evasione basata sull’utilizzo integrato dei dati comunicati dagli intermediari finanziari all’anagrafe dei rapporti finanziari con quelli già presenti nell’anagrafe tributaria, procedendo a individuare una serie di contribuenti potenzialmente selezionabili per le ordinarie attività di controllo e verifica.
Attualmente, lo strumento sembra essere in via di entrata in funzione a regime. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, tuttavia, che i controlli saranno mirati, che l’attenzione sarà concentrata su reali situazioni di rischio e che questo strumento sarà usato in relazione a specifiche tipologie di soggetti a più elevato rischio di evasione, con ciò lasciando intendere che l’anagrafe dei rapporti finanziari non sarà usata come strumento di accertamento di massa, ma in presenza di altri indizi di evasione e, inoltre, al fine di verificare quei contribuenti per i quali emergano le anomalie più rilevanti (in senso conforme, si veda G. Ferranti, Il Fisco, 37/2019).
In conclusione, da quanto esposto sembra possibile trarre alcune conclusioni spicciole:
- In primo luogo, il contrasto (in larga parte ideologico) fra chi è contrario all’introduzione di limiti all’utilizzo del contante e chi è, invece, favorevole vede vittoriosi questi ultimi. In effetti, se le disposizioni vigenti non saranno modificate, dal 1° gennaio dell’anno prossimo non sarà possibile effettuare pagamenti in contanti per importo superiore ai 1.000 euro che è evidentemente una soglia oggettivamente molto bassa.
- In altre parole, l’esigenza sociale di contrasto a certe forme di criminalità e all’evasione fiscale è tale da comprimere la sfera di libertà personale dell’individuo che si vede privato della possibilità di effettuare certe transazioni in modo anonimo o, comunque, tale da non essere a costui riconducibile. Ciò è coerente con un trend sempre più marcato in favore della trasparenza in tanti settori (si pensi alle disposizioni in materia di antiriciclaggio in tema di identificazione del beneficiario effettivo, oppure, in ambito completamente diverso, alla compressione della privacy di fatto indotta dalla digitalizzazione).
- La digitalizzazione dell’economia, che vede la crescita costante del ricorso all’e-commerce da parte di strati sempre più ampi della società (crescita ancor più massiccia nel corso dell’ultimo anno, come conseguenza dei ripetuti lockdown resisi necessari per contrastare la pandemia da covid-19) costituisce un’ulteriore e potente spinta nella direzione di cui sopra.
- Il ricorso massiccio al contante (per l’Italia, stime della Banca d’Italia lo danno come strumento di pagamento nell’86% dei casi) sembra, perciò, destinato a un significativo ridimensionamento con conseguente aumento della tracciabilità dei pagamenti, in quanto sempre più canalizzati nel circuito finanziario.
- Di pari passo, sono introdotti e rafforzati strumenti che consentono all’amministrazione finanziaria di monitorare la disponibilità di denaro dei contribuenti e le relative movimentazioni, quando questo denaro è depositato presso il circuito finanziario.
- Su queste basi, nonostante le rassicurazioni in proposito, non si può non nutrire qualche dubbio che l’amministrazione finanziaria possa essere tentata, in un futuro non troppo lontano, di utilizzare le indagini finanziarie in modo più esteso e capillare di quanto fatto finora. Un’eventualità, questa, che può essere anche considerata positiva (in quanto tale da agevolare l’emersione delle rilevanti sacche di evasione fiscale che ancora sfuggono alla rete del fisco e impediscono una giusta ripartizione del carico tributario fra tutti), ma che comporta anche la necessità di scacciare dalla mente l’immagine distopica del contribuente seduto al tavolo con l’ispettore del fisco per fornire chiarimenti circa l’estratto conto della carta di credito.