Vanguard: “Queste iniziative di settore possono favorire un dialogo costruttivo, ma a volte possono anche generare confusione sulle opinioni delle singole società di investimento”
Secondo Perrini, potrebbero esserci ulteriori defezioni in futuro, poiché le organizzazioni potrebbero avere opinioni diverse su come affrontare la sfida dei cambiamenti climatici
Le alleanze dei più grandi gruppi finanziari per accelerare la transizione verso un’economia a zero emissioni continuano a perdere pezzi. Prima Vanguard, che a dicembre ha abbandonato la Glasgow financial alliance for net zero, nello specifico il sottogruppo Net zero asset manager initiative. Poi Munich Re e Zurich, che negli scorsi mesi hanno dichiarato di volersi ritirare dalla Net zero insurance alliance. E infine la defezione di Hannover Re, il terzo più grande riassicuratore al mondo. C’è chi cita preoccupazioni antitrust, associate alle alleanze, e chi teme che possano generare confusione sulle opinioni delle singole società di investimento. Ad ogni modo, per Francesco Perrini, direttore scientifico del Sustainability Lab dell’Università Bocconi intercettato da We Wealth, potremmo presto assistere a ulteriori passi indietro.
Lanciata nell’aprile del 2021 in vista della Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in due anni hanno aderito alla Glasgow financial alliance for net zero oltre 550 gruppi finanziari provenienti da più di 50 paesi. Società che si sono impegnate a raggiungere l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050, sviluppando strategie di trasmissione, fissando obiettivi intermedi e riferendo annualmente sui progressi. Nell’ambito della Glasgow financial alliance for net zero sono state lanciate sette sotto-alleanze settoriali: Net zero owner alliance, Net zero asset manager initiative, Paris aligned asset owners, Net-zero banking alliance, Net-zero insurance alliance, Net zero financial service providers alliance, Net zero investment consultants initative e The venture climate alliance.
Le dichiarazioni dei grandi gruppi finanziari
Alla fine dello scorso anno sono iniziate le prime defezioni. È il caso di Vanguard, che aveva aderito alla Net zero asset manager initiative nel 2021. “Queste iniziative di settore possono favorire un dialogo costruttivo, ma a volte possono anche generare confusione sulle opinioni delle singole società di investimento”, spiega la società d’investimento da 7 miliardi di dollari di asset in gestione a We Wealth, motivando le ragioni dell’uscita. “Questo è stato il caso in questione, in particolare per quanto riguarda l’applicabilità degli approcci net zero ai fondi indicizzati ampiamente diversificati, preferiti da molti investitori di Vanguard. Pertanto, abbiamo deciso di ritirarci dalla Nzam in modo da poter fornire la chiarezza che i nostri investitori desiderano sul ruolo dei fondi indicizzati e su come pensiamo ai rischi materiali, compresi quelli legati al clima, e per chiarire che Vanguard parla in modo indipendente su questioni importanti per i nostri investitori”. Una decisione, precisa, che non influirà sul proprio impegno nell’affiancare gli investitori nella gestione dei rischi che il climate change può comportare per i loro rendimenti a lungo termine.
“Il ceo di Vanguard, comunque, ha ricordato che in tempi difficili come quelli attuali non c’è nessuna garanzia che gli asset Esg abbiano performance più elevate”, interviene Perrini. “In realtà numerosi studi hanno esaminato la relazione positiva tra performance di sostenibilità e performance finanziaria”. Anche durante i periodi di crisi, ricorda l’esperto, le aziende sostenibili reagiscono bene e con resilienza ai cambiamenti del mercato, dimostrando stabilità, bassa volatilità e un tasso di insolvenza molto contenuto. “Inoltre, la bassa volatilità dei portafogli sostenibili ci dà l’opportunità per ribadire in questa sede il vero ruolo che, a tendere, deve avere la finanza sostenibile e cioè garantire risorse di lungo periodo a business che impattano positivamente sui tre pilastri E, s e g”.
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Zurich ha deciso invece di ritirarsi dalla Net-zero insurance alliance dichiarando di voler concentrare le proprie risorse nel supportare i propri clienti nella transizione, dopo “aver stabilito una metodologia standardizzata per la misurazione e la disclosure delle emissioni di gas serra associate ai portafogli di sottoscrizione assicurativa e riassicurativa”. Diverso il caso di Munich Re che, contattata da We Wealth, ha citato la possibile esposizione a rischi antitrust associata all’adesione alla Net-zero insurance alliance. “Comprendiamo che l’annuncio di interrompere l’adesione alla Nzia possa sembrare inaspettato da una prospettiva esterna, ma naturalmente soppesiamo continuamente la nostra partecipazione a organizzazioni esterne e il loro continuo allineamento con la nostra valutazione interna e la nostra valutazione dei rischi. Possiamo parlare solo per noi stessi e, a nostro avviso, le opportunità per Munich Re di perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione in un approccio collettivo tra gli assicuratori di tutto il mondo senza esporsi a rischi antitrust rilevanti sono così limitate che è più efficace perseguire la nostra ambizione climatica di ridurre il riscaldamento globale individualmente”, spiegano. “Naturalmente, il nostro impegno per il clima è costante e ci atteniamo alle raccomandazioni scientifiche, il che significa anche che stiamo chiaramente rispettando i nostri ambiziosi obiettivi climatici”, aggiungono. Precisando che non lasceranno invece la Net-zero asset owner alliance, in quanto la quota di mercato combinata dei membri dell’alleanza è “molto più bassa” e, di conseguenza, anche il rischio antitrust è “significativamente più contenuto”.
Alleanze net-zero: i rischi antitrust
“Le associazioni o le coalizioni di aziende che si uniscono per perseguire un obiettivo comune, come la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, potrebbero essere considerate come un accordo che limita la concorrenza tra le aziende coinvolte”, spiega Perrini in merito alla possibile esposizione dei gruppi finanziari alla violazione di norme antitrust. “Inoltre, se una singola azienda detiene una posizione dominante all’interno dell’associazione o della coalizione, questa potrebbe essere accusata di abuso di posizione dominante. Aderire a un’associazione o a una coalizione per perseguire gli obiettivi di emissioni nette zero potrebbe esporre le aziende a rischi di violazione delle norme antitrust, poiché potrebbe essere considerato un accordo anticoncorrenziale tra le aziende coinvolte. Munich Re ha scelto quindi di perseguire tali obiettivi autonomamente, al fine di evitare di essere esposto a questi rischi legali e di reputazione”.
Il ruolo del “caos” regolamentare
Interrogato sul peso delle incertezze sulla tassonomia in via di definizione, Perrini ha poi ricordato come l’obiettivo delle regole sulla finanza sostenibile sia quello di orientare gli investimenti verso attività che promuovono la sostenibilità e riducono il rischio di danni ambientali e sociali; e, in definitiva, di ridurre il rischio di greenwashing o di woke washing (traducibile come “lavarsi la coscienza”, una pratica utilizzata dalle aziende per guadagnare rispetto e profitto dai propri clienti attraverso il sostegno di azioni dall’alto impatto sociale nelle proprie campagne di marketing, sfruttando la crescente sensibilità e responsabilità da parte di consumatori). “Tuttavia, le incertezze sulla tassonomia possono rendere difficile per gli investitori comprendere quali attività economiche siano davvero sostenibili e quali no. Questa incertezza potrebbe scoraggiare gli investimenti in attività che potrebbero effettivamente contribuire alla sostenibilità, ma che non sono ancora state classificate come tali. Inoltre, potrebbe anche rallentare l’implementazione delle regole sulla finanza sostenibile, poiché gli investitori potrebbero essere riluttanti ad adottare regole che non sono ancora chiare o stabilite”, avverte Perrini.
“Il regolatore sta intervenendo nel ridefinire le strategie di gestione in senso sostenibile sia in fase di analisi ex-ante degli asset investibili sia in fase di definizione degli obiettivi di sostenibilità che i singoli prodotti finanziari possono o devono conseguire”, aggiunge l’esperto. “È intuibile che tali iniziative regolatorie impongano coerenti investimenti da parte degli asset manager che devono adeguare la loro offerta a questi rinnovati input regolamentari. Ne deriva che gli attuali ambiti di incertezza che ancora caratterizzano la tassonomia debbano al più presto essere risolti al fine di garantire che il mercato si organizzi con efficienza a tutto beneficio del risparmiatore-investitore finale”.
In questo contesto, secondo Perrini potremmo assistere a ulteriori defezioni in futuro dalle grandi alleanze net-zero, in quanto le organizzazioni potrebbero avere opinioni diverse su come affrontare la sfida dei cambiamenti climatici. “Basti pensare che, dopo Munich Re e Zurich anche Hannover Re, il terzo più grande riassicuratore al mondo ha deciso di uscire dalla Gfanz, pur confermando i propri obiettivi in materia di clima e sostenibilità. Tuttavia, è importante sottolineare che l’adesione all’alleanza è un impegno significativo per la riduzione delle emissioni di carbonio, con l’obiettivo di andare verso una reale transizione sostenibile”. In un comunicato inviato via e-mail, riporta Reuters, Hannover Re ha dichiarato di voler lasciare la Net-zero insurance alliance “dopo un’attenta valutazione” ma senza fornire dettagli aggiuntivi.