Il carico fiscale, in Italia, è particolarmente marcato sui nuclei familiari e sulle imprese
La Commissione europea ha individuato alcune riforme che gli Stati membri dovrebbero attuare per rendere più efficienti ed equi i sistemi fiscali
Come dimostrano i dati rilasciati dalla Commissione europea per il 2021, il carico fiscale in Italia è pari al 42,5% del Pil. Si tratta di un valore superiore di 1,4 punti percentuali rispetto al 41,1% registrato nella media dell’Eurozona.
In Italia, inoltre, si registra – rispetto agli altri Stati Ue – un maggiore prelievo fiscale sulle famiglie con almeno due figli, stante il fatto che il gettito fiscale proveniente dai nuclei familiari è pari a 323 miliardi di euro, rispetto ai 760 miliardi di entrate complessive.
Ebbene, nonostante risultino essere notevolmente elevati, i livelli di pressione fiscale in Italia non sono poi così diversi da quelli degli altri maggiori paesi europei. Un carico fiscale particolarmente marcato si rileva, infatti, anche in Danimarca, con il 47,6%, in Francia dove è pari al 46,5% del Pil, in Germania con il 41,1% e in Spagna con il 36,4%.
Per quel che concerne le imposte sul reddito delle persone fisiche, prendendo in considerazione i dati rilasciati da Tax Foundation per il 2021, si può osservare che, ad esempio, la Danimarca (55,9%), la Francia (55,4%) e l’Austria (55%) hanno registrato le più alte aliquote fiscali sul reddito delle persone fisiche tra i paesi europei; dunque più alte dell’Italia. Mentre la Repubblica Ceca (15%), l’Ungheria (15%) e l’Estonia (20%) hanno registrato i tassi più bassi.
Di questo tema si è occupata la Commissione europea che, con il report “Review of taxation policies in the EU Member States 2021”, partendo dall’assunto che un’elevata pressione fiscale è spesso sinonimo di un sistema fiscale incapace di massimizzare il benessere sociale e riassegnare in maniera progressiva il gettito a favore dei bisogni dei contribuenti, ha provato a rispondere alla domanda: come rendere un sistema fiscale più equo ed efficiente?
Ad avviso dell’organo esecutivo europeo, bisognerebbe principiare dalla riduzione dei costi di compliance fiscale. In questo modo, infatti, si incoraggia l’attività e la produttività delle imprese; in particolare delle Pmi e le start-up e si aumenta la fiducia delle aziende nel sistema fiscale, che viene percepito come più equo e vicino al contribuente.
Per ridurre la pressione fiscale, inoltre, occorre rafforzare la lotta all’evasione fiscale. Gli Stati membri devono, in questo senso, agire eliminando le scappatoie e i disallineamenti interni che, direttamente o indirettamente, facilitano i fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva. La riduzione degli utili non tassati fornirebbe fonti di entrate non trascurabili agli Stati membri e dunque permetterebbe, alla lunga, di ridurre gli oneri fiscali che gravano sulle imprese, sui lavoratori e sulle famiglie.
Come rileva la Commissione europea, questo è un punto su cui, più di ogni altra cosa, occorre insistere, stante il fatto che le entrate perse nell’Ue per fenomeni di evasione fiscale sono comprese tra i 35 e i 70 miliardi di euro annui.
Le entrate fiscali recuperate dal contrasto all’evasione possono essere utilizzate per ridurre il carico fiscale dei contribuenti onesti e aumentare la spesa pubblica destinata a rafforzare l’istruzione e i sistemi sanitari.
Non è un caso, in questo senso, se – come rileva la Commissione europea – gli Stati membri più colpiti da fenomeni di evasione fiscale (Spagna, Francia e Italia) sono anche gli stessi che, nell’attuale crisi economico-sanitaria dovuta alla pandemia, hanno registrato le più forti difficoltà di reazione.