Dagli ultimi dati ufficiali raccolti, ecco quanto hanno reso le varie forme di previdenza complementare e integrativa nel 2021 e negli ultimi dieci anni
La distanza fra i rendimenti dei fondi pensione e il Tfr, è stata molto ampia, a favore dei primi. Anche grazie al favorevole andamento di mercato dell’ultimo decennio
Secondo i dati aggiornati dalla Covip, l’autorità di vigilanza sulla previdenza complementare, nei dieci anni che vanno dal 2012 al 2021 il rendimento annuo composto, al netto di costi di gestione e fiscalità, è stato:
- del 4,1% per i fondi negoziali;
- del 4,6% per i fondi aperti;
- del 5% per i PIP di ramo III;
- del 2,2% per le gestioni di ramo I.
E la rivalutazione del Tfr? E’ stata la meno performante fra tutte le opzioni sopra indicate, con un risultato annuo dell’1,9%.
L’andamento dei mercati, decisamente positivo nell’ultimo decennio, ha sicuramente contribuito all’esito finale di questo confronto. Nel 2021, ad esempio, il contesto di mercato ha favorito in modo particolare quelle gestioni previdenziali più esposte all’andamento delle azioni. Per l’anno scorso, dunque, il bilancio è stato il seguente con rendimenti del:
- 4,9% per i fondi negoziali
- 6,4% per i fondi aperti;
- 11,1% nei PIP di ramo III
“Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,3%”.
Fondo pensione, il problema di “sentirne il bisogno”
Per i gestori e i consulenti il principale problema dei fondi pensione, tuttavia, non è mai stata la possibilità di “sfigurare” nel confronto con la rivalutazione del Tfr. Il problema, per molti anni, è che gli italiani non hanno sentito il bisogno della previdenza integrativa, vista l’onerosità e la relativa generosità del sistema previdenziale pubblico (ne abbiamo scritto molte volte, ad esempio in questo articolo). Rendimenti a parte, dunque, com’è andata la raccolta dei fondi pensione in Italia? Nel 2021 sono cresciute, anche se quattro nuove posizioni su cinque fanno riferimento ad adesioni “che per i nuovi assunti di diversi settori hanno luogo automaticamente sulla base dei contratti nazionali di riferimento, anche in corrispondenza di un flusso contributivo modesto”.
In generale, a fine 2021 le forme pensionistiche complementari sono aumentate di 403mila unità, un incremento del 4,3% che porta il totale a 9,745 milioni; cui corrispondono, visto che alcuni soggetti hanno più di una previdenza integrativa, 8,8 milioni di individui (su circa 25 milioni di occupati, secondo il dato Inps relativo al 2020).
“Nelle forme pensionistiche di mercato”, che non riguardano i contratti nazionali di lavoro, “si rilevano 108.000 posizioni in più nei fondi aperti (+6,6 %) e 103.000 posizioni in più nei PIP nuovi (+2,9 %); alla fine del 2021, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 1,735 milioni e 3,613 milioni di unità”, ha affermato la Covip.
Per quanto riguarda, infine, le risorse destinate alle prestazioni, a fine dicembre 2021, sono state pari a 212,6 miliardi di euro, circa 14,7 miliardi in più rispetto alla fine del 2020.