Negli ultimi 30 anni le aspettative di vita degli italaliani sono aumentate di cinque anni per le donne e di sette per gli uomini
Si vivrà molto più a lungo, mentre il valore della pensione pubblica andrà a diminuire: è questa la sfida previdenziale che i più giovani devono comprendere il prima possibile
La longevità sembra avere ben poco in comune con tutti questi eventi, a cominciare dal fatto che, di solito, ci si augura la vita più lunga possibile. Anche la longevità, però, si può rivelare un imprevisto finanziario. Certo, è più facile che le preoccupazioni si concentrino sulle conseguenze di una scomparsa precoce, in particolare per i propri famigliari a carico. Eppure, le insidie di una vita molto lunga sono forse ancor più difficili da prevedere ed organizzare. Una cosa è certa: tralasciando gli aspetti legati alla non autosufficienza nessuno vorrebbe essere costretto a ridimensionare il proprio stile di vita, perché le risorse finanziarie accantonate e i flussi di reddito pensionistici non bastano più a mantenerlo. Se questo avviene, significa che l’aspettativa di vita probabilmente è stata sottostimata in rapporto ai risparmi accantonati. Le due cose, anni di vita e risparmio, devono essere considerate assieme. Sulla prima, però, nessuno ha particolari certezze.
Ma una cosa è certa: i progressi della medicina stanno spingendo sempre più in là l’orizzonte dell’esistenza umana. Mentre la longevità si espande c’è qualcos’altro che si contrae inesorabilmente il sistema pensionistico pubblico. Ancora per diversi anni, infatti, il rapporto tra popolazione anziana e popolazione attiva andrà ad aggravare gli squilibri del sistema previdenziale. La transizione completa del sistema a capitalizzazione, nel quale il contribuente riceve una pensione proporzionata ai contributi versati per tutto l’arco della vita lavorativa, si tradurrà in assegni sempre più ridotti (rispetto al reddito percepito prima del pensionamento). Nel 2020, secondo i dati Ocse, i nuovi pensionati italiani potevano contare su un assegno pensionistico pubblico superiore all’80% del loro reddito lavorativo percepito a fine carriera (nel 2018 questo “tasso di sostituzione” era addirittura al 91%). Intorno al 2050, aveva dichiarato alcuni anni fa l’allora presidente dell’Inps, Tito Boeri, la percentuale scenderà intorno al 60%. Un membro della Generazione Z, che potrebbe andare in pensione intorno al 2070, dovrà fare i conti con una previdenza pubblica ancor più avara. Una vita più lunga con pensioni pubbliche più magre, impone ai risparmiatori più giovani una pianificazione accurata del proprio futuro finanziario post-lavorativo. Per mantenere lo stile di vita, insomma, serviranno più risorse supplementari e, dunque, investire a lungo termine una quota più consistente del proprio reddito. Se si guarda ai numeri, la sfida della longevità appare chiara.
Secondo i dati Istat, nel 1992 la speranza di vita alla nascita era di 80,58 anni per le donne e di 73,98 anni per gli uomini. Nel 2019, prima che il Covid-19 influenzasse negativamente i calcoli, l’aspettativa di vita era aumentata di 4,78 anni per le donne e di 7,07 anni per gli uomini (a 85,36 e 81,06 anni, rispettivamente). I lettori più istruiti non dovrebbero limitarsi a riflettere su queste cifre, visto che probabilmente vivranno ancora più a lungo. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili sul tema, relativi al 2018, un laureato maschio poteva contare su un’aspettativa di vita alla nascita superiore di ben tre anni a quella di un non diplomato e più lunga di circa un anno rispetto alla media generale. L’incremento della speranza di vita, in meno di vent’anni è stato molto evidente. Sette anni di pianificazione previdenziale in più non sono poca cosa, specialmente se si considera che le spese mediche tendono ad aumentare nella fase della vita più avanzata. È facile immaginare che l’allungamento della vita proseguirà anche nel prossimo futuro, anche se non possiamo sapere con quale ritmo questo avverrà. Uno studio pubblicato su Nature nel 2021 aveva conquistato una grande attenzione internazionale attribuendo all’età di 150 anni quei limiti biologici oltre i quali qualsiasi progresso nelle terapie mediche non aiuterebbe più l’organismo a “ripararsi”. È probabile, dunque, che la longevità non potrà aumentare in modo indefinito nei prossimi decenni. Allo stesso tempo, lo “spazio biologico” per aumentare la vita media sembra ancora ampio. Secondo le proiezioni della Banca Mondiale, infatti, la popolazione con almeno 100 anni di vita arriverà a 3,7 milioni entro il 2050; gli ultracentenari, nel 1990, erano appena 95mila in tutto il mondo. Non è detto che vivere più a lungo sposterà in avanti anche gli anni di vita vissuti senza particolari limitazioni dovute alla salute. Questo significa che ad essere più numerosi potrebbero essere, soprattutto, gli anni di maggiore fragilità fisica.
Questo non può che accrescere ulteriormente l’importanza di avere un reddito/patrimonio sufficiente a coprire tutti i bisogni di questa fase della vita. Chi deciderà di dedicare una parte del proprio risparmio previdenziale allo strumento del fondo pensione con rendita vitalizia potrà in qualche modo trasferire su quest’ultimo il rischio finanziario di un’esistenza particolarmente longeva. Infatti, la rendita vitalizia viene erogata per tutta la vita.
Optare per un risparmio previdenziale accumulato in autonomia, invece, offre la certezza della trasmissione agli eredi – che invece non si verifica, necessariamente, per il montante del fondo pensione una volta che la fase delle prestazioni è iniziata.
Articolo tratto dal numero di gennaio di We Wealth
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