Quante asset classes ci devono essere in un portafoglio ‘ben temperato’? Recentemente il gestore del fondo dove ho messo il mio (modesto) gruzzolo, mi ha detto che avevano introdotto anche l’oro nel fondo (sotto forma di Etf aureo) e mi ha chiesto se volevo che venisse a far parte del mio portafoglio. Gli ho risposto di no, non tanto perché mi preoccupassi di dove possa andare il prezzo del metallo giallo, ma perché non ho alcun rispetto intellettuale per l’oro come investimento (anche se ne apprezzo i vezzi dentali e ornamentali).
Tornando alle classi di attività, oltre ad azioni e obbligazioni (nelle tante declinazioni geografiche e settoriali), ci sono anche – oltre l’oro – i vini pregiati, gli Old Masters, gli antichi vasi cinesi, e, naturalmente, case e terreni. E il Bitcoin? Ci sono in effetti dei fondi che hanno messo anche il bitcoin nei portafogli, evidentemente avendo gestori appassionati di sport estremi. Il bitcoin, secondo il mio modesto parere, è ‘una soluzione alla ricerca di un problema’. Come ha detto il Segretario al Tesoro Usa Janet Yellen, il bitcoin è un modo molto inefficiente di effettuare transazioni valutarie legali. Mentre, aggiungeremmo, è molto efficiente nell’effettuare transazioni illegali…
C’è qualcuno che lo chiama oro digitale perché ha un elemento paragonabile all’oro. Questo elemento è la scarsità ed è proprio per questo che l’algoritmo ne tiene conto e fissa il prezzo del bitcoin perché c’è un numero limitato previsto all’origine. Nessuna autorità è riuscita a catalogare il bitcoin né come oro digitale né come valuta. Nessuno ha deciso esattamente che cosa sia. Salendo così in fretta nelle sue quotazioni, il bitcoin ha attirato tutti gli speculatori della terra. Le grandi banche d’affari americane, da Goldman Sachs a Morgan Stanley, hanno considerato il bitcoin un fenomeno sociale su cui si è infilato un fenomeno finanziario di carattere speculativo.
Ora, c’è chi ha tentato un esperimento in corpore vivo. Un Paese, El Salvador, ha proclamato il Bitcoin moneta legale (accanto al dollaro, e al colòn salvadoregno, che tuttavia non circola più). Ha funzionato l’esperimento? Un recentissimo rapporto del National Bureau of Economic Research (“Are cryptocurrencies currencies? Bitcoin as legal tender in El Salvador”, di Fernando E. Alvarez, David Argente e Diana Van Patten – Working Paper 29968 si è chinato sul problema, e, dopo un’accurata indagine sul campo, intervistando i fruitori del Chivo (l’app che permette ai cittadini di fare transazioni in bitcoin), ha raggiunto alcune conclusioni.
Quando il governo di quel piccolo Paese centro-americano ha avuto quella balzana idea, ha messo a disposizione dei cittadini questa app (Chivo in spagnolo vuol dire ‘capra’, e non son sicuro che sia un complimento), un ‘portafoglio elettronico’ che permetteva di fare transazioni in bitcoin e in dollari. Per invogliarne l’uso, il Chivo arrivava con un ‘omaggio’ di 30 dollari da spendere. Dall’indagine sul campo è risultato che la ragione principale per scaricare l’app era quel bonus di 30 dollari. Il problema è che, dopo averla scaricata, meno del 40% degli utenti ha continuato a usarla; più del 60% l’ha abbandonata, dopo aver debitamente speso il bonus. Le ragioni per il non-uso sono, in ordine di importanza: “è difficile da capire”, “non mi fido”, “non è accettata dai negozi”, “i cambi sono troppo volatili”, “le commissioni sono costose”. E anche quelli che hanno continuato a usarla, l’hanno fatto senza molto entusiasmo. L’utente mediano non la usa al bancomat, e non risulta alcun pagamento inviato o ricevuto in un dato mese. Per mettere le cose in prospettiva, il numero mediano di transazioni al giorno per persona, nella media di molti Paesi, è1,3-1,4.
Insomma, il bitcoin rimane un giocattolo per speculatori. E, se vuole invece ambire a essere una moneta, si rivela sempre più come ‘una soluzione alla ricerca di un problema’.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di giugno 2022)