Sono 18.718.500 i milioni di dollari spesi da Sotheby’s New York, l’8 novembre scorso, per aggiudicarsi l’opera record Grey Stone II della pittrice canadese Agnes Martin (Macklin, 1912 – Taos, 2004), pioniera dell’arte minimalista. Eseguita nel 1961 e proveniente dalla straordinaria collezione di Emily Fisher Landau, dove vi rimase per quasi quarant’anni, è uno dei primi esempi dei caratteristici dipinti a “griglia” di Martin e uno dei pochi a vantare la particolare tecnica a foglia d’oro. Dalla pittura del primo Rinascimento italiano, ai paraventi giapponesi del XVI e XVII secolo, fino alla ritrattistica eterea di Gustav Klimt, sono molte le citazioni che ritroviamo in Grey Stone II pensando ai precedenti della storia dell’arte. Se l’oro tradizionalmente ha una valenza simbolica che suggerisce bellezza, ricchezza e rarità, Martin lo usa per implicare sentimenti caldi e illuminanti come compagnia, affetto e gioia.
Ispirando la contemplazione, fino alla meditazione, i dipinti dell’artista canadese alludono alla spiritualità come inerente alla natura e ci proiettano in una realtà trascendentale. La griglia, resa con delicate linee di matita e morbidi tocchi di pigmento blu-grigio, cattura il tocco e la presenza dell’autrice (visibile nell’irregolarità e nelle intermittenze dei segni), sfidando la predilezione estetica – per dichiarazioni audaci e chiarezza formale – che definiva le scuole di pittura dominanti nei primi anni ’60 del XX secolo. A distanza, i puntini di pittura quasi “puntinisti” si confondono ed elidono in un’unica forma nebbiosa, dando luogo a un senso di avvolgente calma meditativa.
L’interesse per Agnes Martin nel mercato secondario è, ormai dal 2020, in costante crescita, collocandosi nel 2023 al 51° gradino della classifica mondiale degli artisti più cari venduti all’incanto. Suo anno d’oro è proprio quello appena trascorso, grazie a un fatturato complessivo di oltre $31 milioni, raccolto da sole 54 opere. A contendersi i lavori milionari di Martin sono primariamente le piazze statunitensi (93%) delle majors del martelletto, Sotheby’s e Christie’s in testa.
Ma conosciamola meglio assieme.
Agnes Martin, Friendship, 1963. © 2024 Estate of Agnes Martin_Artists Rights Society (ARS), New York
Agnes Martin, l’artista
Nel cuore dell’espressionismo astratto, tra linee sottili e griglie geometriche meticolosamente disegnate da colori pastello, emerge la figura enigmatica di Agnes Martin, una pittrice le cui opere hanno plasmato un nuovo capitolo della storia dell’arte del Novecento. Il suo lavoro è un’ode silenziosa alla bellezza intrinseca della natura che si svela come una sinfonia di armonie astratte su tela.
“Quando ho realizzato la griglia per la prima volta – spiega – mi è capitato di pensare all’innocenza degli alberi e poi mi è venuta in mente questa griglia, e ho pensato che rappresentasse l’innocenza, e lo penso ancora, e così l’ho dipinta e poi fui soddisfatta”. Sebbene sia forte la tentazione di leggere la figurazione nelle sue tele astratte, la stessa Martin insisteva che fossero rappresentazioni di qualcosa di più difficile da definire, delle rappresentazioni di stati dell’essere, visioni o anche, forse, dell’infinito.
Nata a Macklin, in Canada, il 22 marzo del 1912, ma cresciuta a Vancouver, Martin trascorre gli anni della giovinezza immersa nelle infinite distese della natura canadese, dove lei, i suoi genitori – presbiteriani scozzesi – e i suoi tre fratelli vivevano in una fattoria. Le vastità dei paesaggi desolati hanno indubbiamente ispirato la sua ricerca di equilibrio e armonia, mentre l’isolamento e la solitudine furono le basi per una profonda introspezione che venne tradotta poi su tela. La connessione con l’ambiente circostante è un legame che ha plasmato la sua visione artistica per il resto della vita. “La mia pittura – disse – è una risposta personale alla natura. Cerco di catturare la sua essenza, la sua semplicità e la sua bellezza silenziosa”. Nel 1932 si trasferisce negli Stati Uniti dove studia prima al Western Washington State College (Bellingham), successivamente alla University of New Mexico (Albuquerque), per poi terminare alla Columbia University di New York. Un lungo percorso artistico caratterizzato da sfide personali e da una costante ricerca, che, benché inizialmente complessa, la condusse alla creazione di un linguaggio pittorico unico e riconoscibile.
Agnes Martin nel suo studio di Taos, New Mexico nel 1953. Mildred Tolbert, 1953.
The Harwood Museum of Art, Gift of Mildred Tolbert. © Mildred Tolbert Family
Tra gli anni ‘40 e i primi anni del decennio successivo inizia a insegnare saltuariamente a New York, dove si trasferisce nel 1957. Tra gli amici di questo periodo si annoverano nomi come Robert Indiana, Ellsworth Kelly, Jack Youngerman, Lenore Tawney e Chryssa, facenti parte della comunità di artisti “Coenties Slip”, localizzata all’estremità sud-orientale di Manhattan. La sua prima personale si tenne alla Betty Parsons Gallery di New York nel 1958. Con la fine di questo decennio, Martin abbandona gli acquerelli e i paesaggi figurativi per abbracciare ufficialmente l’astrattismo fatto di grandi semplificazioni che non lascerà mai più.
In un’epoca in cui l’arte astratta spesso gridava la sua presenza attraverso colori audaci e forme dinamiche, Martin sceglie un approccio diverso fatto appunto di griglie delicate che evocano una serenità che invita alla riflessione, sottolineando il potere dell’arte nell’offrire un rifugio contemplativo. Così anche mentre risiede nel loft di New York, le sue opere – intuitive e intellettuali, intime e universali – continuano a raccontare le ampie distese e la tranquillità della sua terra natale.
Agnes Martin, Untitled #44, 1974. Courtesy Sotheby’s New York
La sua pittura evoca una sensazione di calma che sfida le convenzioni dell’arte astratta, in cui l’emotività e l’espressione vigorosa sono dominanti. Una celebrazione del silenzio, dove il bianco dilagante si unisce a linee sottili per creare una sorta di partitura visiva e un sollievo ritmico. Questo uso ridotto del colore e delle forme crea un’esperienza di contemplazione, trasformando la tela in uno spazio di pace.
Non stupisce, dunque, che, verso la metà della sua carriera, Martin decide di abbracciare la filosofia taoista e Zen e la spiritualità come elementi centrali della sua pratica artistica. Non fu mai una religiosa, piuttosto “la più concreta delle mistiche”, affermò. Le sue opere diventano non solo una rappresentazione visiva della tranquillità, ma anche un percorso per esplorare le dimensioni più profonde della coscienza umana.
I lavori maturi – riconoscibili dal formato quadrato, dalle griglie e linee disegnate sulla tela, dal monocromo con leggere sfumature – piacquero subito alla critica, tanto che nel 1966 il Museo Solomon R. Guggenheim di New York la inserisce nella mostra “Systemic Painting”, in qualità di rappresentante del Minimalismo newyorkese.
Agnes Martin, Kyrie, 1962. Courtesy Christie’s New York
Lasciata la Grande Mela nel 1967, Martin smette di dipingere e parte solitaria su un camioncino vagabondando per un anno e mezzo, prima di trasferirsi a Cuba (New Mexico). Riprenderà solo nel 1974 con opere da tonalità e dai titoli vivaci (Fiesta, 1985 o Happy Holiday, 1999 o, ancora, Loving Love, 2000) che sostituiscono i precedenti toni naturali e con le quali ricomincia a esporre con maggiore regolarità. Tra le mostre itineranti si ricordano quelle organizzate dall’Institute of Contemporary Art della University of Pennsylvania di Philadelphia (1973), dalla Hayward Gallery di Londra (1977), dallo Stedelijk Museum di Amsterdam (1991), dal Whitney Museum of American Art di New York (1993), e da Dia Beacon, a Beacon, New York (2004).
I suoi scritti furono pubblicati in occasione della mostra del 1992 al Kunstmuseum Winterthur, in Svizzera, e poi ancora nel 2005. Tra i premi a lei assegnati l’Oskar Kokoschka Prize (1992), il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia (1997) e la National Medal of Arts from the Office of the President (1998).
Trascorre i suoi ultimi anni lavorando per lo più in solitudine, accettando visitatori occasionali, a volte vecchi amici ma anche studiosi e critici, molti dei quali interessati al suo lavoro e al suo stato di salute. Con il plauso della critica, Agnes Martin muore a Taos (New Mexico) il 16 dicembre del 2004, all’età di 92 anni.
Agnes Martin, Untitled #6, 1983. Courtesy Christie’s New York
Agnes Martin, l’eredità
A distanza di 20 anni, l’eredità di Martin continua a vivere in esposizioni e collezioni private di tutto il mondo. La sua straordinaria capacità di trasmettere emozioni attraverso la sobrietà delle forme geometriche ispira, ancora oggi, molti artisti e critici d’arte, confermandola come una icona dell’astrattismo minimalista e contemplativo. Attraverso la sua presenza discreta ma determinata, fu in grado – pioneristicamente – di sfidare le barriere di genere, dimostrando che anche le donne potevano eccellere in un mondo prettamente maschile. Inoltre, la sua scelta di distaccarsi dal caos emotivo dell’arte astratta per abbracciare la tranquillità geometrica riflette una profonda comprensione delle possibilità espressive della forma e della struttura. Il suo impatto sulla storia dell’arte risiede nell’aver aperto una nuova strada, dimostrando che la forza espressiva dell’arte non è solo nell’entusiasmo e nell’intensità, ma può anche emergere dalla quiete e dalla meditazione.
In conclusione, l’opera di Agnes Martin ha dimostrato che il silenzio può essere un mezzo potente di espressione. La sua è stata una vita dedicata alla ricerca di una forma d’arte che parlasse al nostro spirito in modo silenzioso ma potente, semplice ma incisivo. La sua vita e il suo lavoro invitano a riflettere sulla bellezza che può emergere dalla quiete, una lezione ancora preziosa nel mondo frenetico di oggi.
Agnes Martin. Grey Stone II, 1961. Courtesy Sotheby’s New York
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In copertina: Agnes Martin, Summer, 1964. Courtesy Patricia L Lewy Gidwitz