Gli anni Sessanta furono indubbiamente caratterizzati da un intenso vigore creativo, diffuso in tutti i campi, dalla moda al design, dalla musica alla scienza, e videro nel contempo l’imporsi di nuovi ideali di pace e libertà oltre che di grandi tensioni sociali. Uno dei principali simboli di quegli anni e frutto proprio dei progressi scientifici è la conquista dello spazio, che ha fortemente influenzato la cultura, il costume ed il pensiero. Ad averne per primo subìto il travolgente fascino è stato senza dubbio il mondo della moda.
Lo stilista André Courrèges con la sua famosa collezione “Space Age” ne fu uno dei primi interpreti; sono celebri le sue “Moon Girls”, in minigonne vinile o pvc e stivaletti bianchi. Altrettanto emblematiche, e sempre in stile Star Treck tutto bianco e argento, le minigonne bianche a trapezio di Mary Quant, gli abiti di plastica, metallo e fibre ottiche di Paco Rabanne, il cui look sarà immortalato da Jane Fonda in Barbarella, o i tubini con colli ad anello di Pierre Cardin, ispirati alle tute della Nasa.
Erano quindi perfettamente inserite nello spirito del momento e davvero sulla cresta dell’onda le due vetture gemelle “spaziali” e “futuriste” dipinte di un bianco perla genere “Tintarella di luna”, esposte all’Expo Universale di Montreal, inaugurato il 28 aprile 1967. Si trattava di una coppia di dream car Alfa Romeo, le sole automobili della manifestazione, esposte in un’ambientazione che grazie all’impiego di specchi, ne replicava l’immagine all’infinito.
Nessun altro marchio automobilistico era in quel momento più in voga in Nord America dell’Alfa Romeo, sulla scia del grande successo ottenuto dal film “Il laureato” di Mike Nichols, ove uno Spider Duetto scarlatto scorrazzava sulle highway americane, condotto da Dustin Hoffman. Nessuna supercar era inoltre, in quel momento, più famosa della Lamborghini Miura, l’icona rivoluzionaria disegnata da Marcello Gandini, della carrozzeria Bertone: era l’auto di serie più veloce e più bassa mai costruita, nonché la prima con un motore V12 trasversale posteriore di serie.
La richiesta degli organizzatori dell’Expo, formulata proprio all’Alfa Romeo (unica casa automobilistica al mondo) di ideare una vettura ad hoc per l’evento, permetterà così di coniugare l’acclamato brand Alfa Romeo con il geniale estro dell’accoppiata Gandini-Bertone. Nell’ambito della rassegna “L’uomo e il suo mondo”, il compito affidato da Expo all’Alfa Romeo fu quello di rappresentare la “massima aspirazione raggiungibile da un uomo in fatto di automobili”, e ciò in soli nove mesi.
La scelta fu pressoché obbligata: fare ampio impiego di componenti già esistenti e disponibili, creando una vettura concretamente realizzabile anziché un tipico prodotto da esposizione, fine a sé stesso. Utilizzando quindi motore e telaio della Giulia, fu approntato un coupé elegante, slanciato e di grande personalità stilistica.
Se da un lato strizzava l’occhio alla Miura, riprendendone il taglio delle portiere e la coda tronca, dall’altro richiamava la precedente “Canguro”, sempre di Gandini (ad esempio nelle prese d’aria laterali), ma presentava anche elementi di propria originalità. Assolutamente distintive erano ad esempio le palpebre a veneziana retrattili sui fanali anteriori, che si abbassavano, mediante un meccanismo a depressione, con l’accensione dei fari. La vettura, denominata “Montreal” in onore della città ospitante, ebbe notevole successo di pubblico e di critica, tanto da spingere i concessionari Alfa Romeo, soprattutto americani, a caldeggiarne la produzione in serie, in un momento in cui le sportive italiane ed europee riscuotevano grande successo. Per evitare di cannibalizzare le vetture esistenti presenti in listino (prima fra tutte la Giulia GT) ed anche per competere con sportive di più alta gamma, all’Alfa Romeo si pensò di installare sulla Montreal, in luogo del motore Giulia 1600, l’8V della 33 stradale, un motore da corsa, che aveva dominato sui circuiti di tutto il mondo. La gestazione fu però difficile e purtroppo molto lunga.
La nuova Montreal con motore 8V fu presentata solo al Salone di Ginevra del marzo 1970 e posta in vendita non prima del ‘72. L’auto aveva subito una profonda rivisitazione. Tutto il gruppo propulsore, ben più ingombrante del precedente, aveva dovuto essere arretrato, il parabrezza era divenuto più verticale, ed era stata inserita una presa d’aria sul cofano anteriore per dissimulare il maggior ingombro degli organi meccanici. La linea generale ne risultava nel complesso appesantita. Il decorso di ben cinque anni, tra il prototipo e la disponibilità della vettura, aveva inoltre un po’ smorzato l’entusiasmo iniziale, facendo apparire la linea non più attuale come all’esordio.
Nel complesso restava però un’auto che riusciva a coniugare grande eleganza ed aggressività, grazie alla linea convessa e slanciata; era bassa, larga e filante, il cofano era piatto e sfuggente, i volumi erano distribuiti con maestria, conferendo alla vettura una grande presenza scenica. Il motore, addomesticato ed addolcito rispetto alla versione da competizione, era come per tutte le Alfa Romeo, il suo punto forte. Pronto a tutti i regimi, potente, elastico e flessibile, dotato di ben 200 CV, dava gran filo da torcere a tutte le concorrenti, prima fra tutte la Porsche 911 S. La tenuta di strada era eccellente, dando il meglio di sé nei percorsi misti, così come notevoli erano il confort, specie con due soli passeggeri, e la qualità dei materiali; unici nei, un accentuato rollio ed una non sempre affidabile iniezione elettronica, il più delle volte a causa di difficoltà nella messa a punto.
Insomma, la Montreal aveva tutte le carte in regola per ottenere grande successo: meccanica sportiva e raffinata, linea affascinante, qualità costruttiva, sound formidabile. I giornali specializzati davano giudizi entusiastici, così come esperti piloti come Moss e Fangio. La rivista Quattroruote ne mise in luce le doti di eccezionale stradista, compiendo il raid Reggio Calabria – Lubecca, ben 2.574 chilometri, in circa 20 ore. Ma dopo il primo anno con ottime vendite, la Montreal incappò nel terribile 1973: la guerra del Kippur portò alla crisi del petrolio ed agli aumenti vertiginosi dei prezzi dei carburanti; i successivi anni dei rapimenti e del terrorismo fecero il resto. Subì quindi lo stesso destino delle altre auto sportive: vendite ai minimi storici ed appeal fortemente compromesso. La Montreal, nonostante ciò, è riuscita a mantenere comunque un’immagine sobria ed elegante, oltre che di grande dinamicità e carattere; è infatti in grado di sprigionare grinta e sportività da qualunque angolazione la si guardi, anche in virtù dei vistosi e vivaci colori metallizzati tipici dell’epoca, come gli aranci, gli oro, i verdi ed i marroni. La Montreal è divenuta con gli anni sempre più importante nel mondo del collezionismo internazionale, non solo perché ultima vera supersportiva Alfa Romeo, ma soprattutto perché ha conservato intatti quei caratteri di originalità ed esclusività che l’hanno contraddistinta fin dall’esordio.
Doti riconosciute anche nel cinema ove, già protagonista di un lungo ed avvincente inseguimento con una 911 in The Marseille contract del ‘74 di Robert Parrish, con Michael Caine ed Anthony Quinn, nelle scene finali di Atomica bionda di David Leitch del 2017 appare in un flash memorabile, in una inconsueta livrea corvina, mentre conduce all’aeroporto una bellissima Charlize Theron. Oggi è una delle Alfa Romeo preferite dai collezionisti, che ne apprezzano da un lato la linea che sembra migliorare invecchiando e dall’altro le prestazioni da vera sportiva di razza; gli esemplari migliori, dei 3.925 complessivamente costruiti, raggiungono perciò sovente cifre anche superiori ai 100mila euro.
Articolo tratto dal numero di aprile 2023 del magazine We Wealth