I calices amariores
Fu proprio così che da un errore, che ricorreva da molti secoli addietro, nacque l’Amarone. Almeno da duemila anni infatti capitava non di rado che la fermentazione delle uve scappasse di mano e gli zuccheri si trasformassero in alcool, dando vita a un vino secco. Le testimonianze storiche abbondano. La prima risale al 49 a.C e si attribuisce al cantore latino dell’amore per eccellenza: Catullo. Il poeta così descriveva nel Carme n.27 i bicchieri in cui era versato quel nettare fuori dai canoni dolci che andavano per la maggiore nella civitas: calices amariores (calici più amari). Con la caduta dell’Impero, quell’errore non andò perso, ma si trasmise ai Longobardi. L’Editto di Rotari, stabiliva pene molto severe per chi arrecava danno alle viti e multe salate per chi rubava i grappoli. Più tardi nel medioevo, si aggiunse un altro tassello: le uve del valpolicella erano trattate alla stregua del denaro nei pagamenti feudali. Un primo apprezzamento di merito arrivò nel 1845 quando degli assaggiatori francesi a una partita di vino “Rosso Austero Costa Calda” di San Vito di Negrar vecchio di 11 anni, si sbilanciarono: “Supremo vino d’Italia… preferibile a diversi Bordeaux ed Hermitage”. Ci volle comunque un altro secolo prima che le prime bottiglie del Recioto secco fossero messe in circolazione. Inoltre fino agli anni quaranta veniva venduto addirittura a un prezzo più basso del Valpolicella: si sapeva ciò che non era, ma non quello che era.
Zone e produzione dell’Amarone
La prima bottiglia ufficiale di Amarone è del 1953, quando Alberto Bolla, dell’omonima cantina, organizzò una grande festa a Milano, offrendo ai propri ospiti l’annata del 1950. Da quel giorno l’Amarone divenne un vino non più prodotto per errore ma per scelta, e fin da subito conquistò la critica scalzando i dettami dolci ancestrali del Recioto. Dopo il primo disciplinare del 1968 e il secondo del 1973, nel 2010 è arrivata la Docg per l’Amarone della Valpolicella, con la quale si identificano zone e modalità di produzione. Per essere definito Amarone il vino deve essere prodotto nella zona classica, con le cinque vallate principali Sant’Ambrogio, San Pietro, Negrar, Marano e Fumane, o nella Valpantena e in una fascia più a est fino a Illas. Le uve obbligatorie sono Corvina per il 45-95% e e Rondinella per il 5-30%. Inoltre sono stati introdotti anche l’uso possibile del Corvinone in sostituzione della Corvina, il numero minimo di ceppi per ettaro (3.300), la percentuale massima (65%) di uve da mettere a riposo per produrrlo, lasciando le rimanenti per Valpolicella e Ripasso, la resa massima delle uve in vino Amarone al 40% e il titolo alcolometrico volumico naturale di almeno 14 vol. Ad oggi l’Amarone rappresenta oltre il 20% della produzione in Valpolicella con quindici milioni di bottiglie all’anno, mentre il Recioto è stato confinato a una quota del 2%.
Le etichette di Amarone più costose
Come per ogni altro vino, infine ci sono cantine che lo fanno meglio di altre. Tra queste non si possono non citare Masi, Quintarelli, Bertani e Dal Forno. Dalle loro botti esce l’Amarone più apprezzato di tutti. I prezzi lo confermano. Se infatti il prezzo medio per una bottiglia di Amarone si aggira intorno ai 40 euro, per poter avere nella propria cantina uno di questi vini bisogna spendere almeno 100 euro. E probabilmente, sulla scia del sempre più diffuso apprezzamento dei vini italiani da parte della critica, nei prossimi anni si assisteranno a valutazioni ancora più alte. Il mercato delle aste fa ben sperare. I 18 Amaroni quotati tra il 2019 e il 2020 sono passati da 4.997 a 5.506 euro, guadagnando il 10%: il calo registrato nel 2018 (-15%) è ormai più che recuperato.