Art Basel 2020 a Basilea si o no? Mentre l’incertezza aleggia sulla decisione di cancellare definitivamente per il 2020 la più importante fiera d’arte al mondo, che quest’anno celebra i 50 anni dalla fondazione, con un conseguente impatto significativo sulle perdite di MCH Group, galleristi ed esperti riflettono su possibili nuovi canali e modi di veicolare l’arte.
Una scelta cruciale per MCH Group, che già aveva rinunciato a marzo ad Art Basel Hong Kong e che, vista l’incertezza che porta con sé la pandemia globale, rischia di cancellare tutte le fiere in programma per la seconda parte dell’anno, tra le quali anche ArtBasel Miami.
Tempi duri per la società svizzera e il suo titolo, quotata al SIX Swiss Exchange, che si è trovata a dover chiudere le porte anche di Baselworld 2020 e incassare il recente annuncio della fuoriuscita definitiva di Rolex, Patek Philippe, Chanel, Chopard e Tudor.
Destino funesto che impatta su tutto il sistema fieristico, che per l’arte nella seconda parte dell’anno contava su sette fiere in programma.
E dunque quelli che erano i “motivi d’orgoglio”, ovvero il numero di visitatori, che ad Art Basel 2019 sono stati 93.000 in sei giorni, oggi diventano il limite stesso della sua esistenza. Come si può gestire una simile affluenza con regole di distanziamento e di massima igiene, consapevoli che l’aria respirata da migliaia di persone nei padiglioni è riciclata? E inoltre come si può affluire numerosi quando gli spostamenti internazionali sono contenuti con probabile prolungamento della chiusura delle frontiere?
Pure i risultati delle vendite in asta di marzo 2020, secondo un’analisi di Artnet Price Database, segnano un drammatico -75.8% rispetto allo stesso mese 2019, che in numeri assoluti corrisponde a un giro d’affari di $227.6 mln contro $939.3 mln dell’anno precedente. Al di là che molte aste sono state cancellate o posticipate, il calo di vendite attraverso questo canale è stato più significativo che quello del mercato in generale, che ha registrato un più contenuto -26%.
Forse che i potenziali venditori hanno optato per conservare i pezzi di maggior valore? O forse i compratori non si sono mostrati desiderosi di “sborsare” ingenti somme per opere con quotazioni alte, visto l’andamento delle borse e la prospettiva d’incertezza economica? O ancora sono stati privilegiati altri canali di vendita, quali trattative private o vendite attraverso le gallerie presenti alle uniche fiere non cancellate in questi mesi: Tefaf -Maastricht – e Armory Show – New York?
Se si ripeterà il trend delle precedenti crisi, potrebbe essere che si contrarrà maggiormente la fascia “top end” del mercato per un certo periodo.
E forse solo nel 2021 sarà più chiaro come si comporrà il mix dei canali di vendita e la quota che ciascuno si ritaglierà, con attenzione al futuro del digital.
Infine, sul fronte gallerie, le preoccupazioni non sono poche e i ripensamenti su come tenere connessi fruitori d’arte e artisti, sono una priorità e una responsabilità.
Già si pensa a proporre una seconda online viewing room, dopo quella fatta a seguito della chiusura di Art Basel Hong Kong, senza costi per i galleristi, quale nuova modalità d’incontro e di contatto con l’arte, attraverso il canale fieristico.
Le perplessità non mancano. Sul punto si è pronunciata l’art dealer, svizzera, Dominique Lévy, co-fondatrice della galleria Lévy Gorvy in diverse città del mondo, che ha messo in evidenza i limiti e l’oggettiva impossibilità per un simile strumento di sostituirsi in futuro alla fiera, quale canale di incontro, diffusione e vendita d’arte.
Digital, contatto telefono, piccole esposizioni locali come punto d’incontro con i clienti o interessati, ovvero una sorta di private views. Diverse possibilità al vaglio dunque.
Art Basel Hong Kong on line è stato un esperimento significativo che ha mostrato i suoi limiti. Perché concettualmente opposto al senso intrinseco di una fiera. Tutti sono accorsi a vedere e testare, ma in realtà più da parte dell’art community che dei collezionisti. Non è friendly. E’ lento, non supportato da una conversazione, non permette di fruire con le persone con le quali si vorrebbe condividere, non è esperenziale nel suo complesso. Il tempo di permanenza è stato di massimo 30 minuti, ma più 20 o addirittura 15. Le vendite che si sono concluse per lo più sono avvenute sulla base di un precedente contatto, illustrazione e aspettativa. Ma per questo non serve una fiera on line. Le gallerie possono dunque pensare a modalità più dinamiche e stimolanti, gestite direttamente, anche con supporto digitale.
Resta aperto il tema per le gallerie del sostegno del business a lockdown terminato. La velocità che aveva raggiunto e il vortice in cui era entrato, erano diventati quasi insostenibili per collezionisti, case d’asta, artisti e galleristi. A discapito della creatività dell’intero sistema. Dunque ci si troverà di fronte a quello che Dominique Lévy, definisce “Post dramatic growth”.
Il business ha subito uno slow down significativo e questo non può che essere il tempo del riequilibrio e del ripensamento. L’arte è essenziale per l’umanità e il desiderio dei collezionisti di essere ancora coinvolti e trovare gioia nel collezionismo è alla base del suo “kit di sopravvivenza”. Non saranno i volumi che ripagheranno il costo del cambiamento, ma la qualità.
Bisognerà essere agili, capaci di rivedere i costi fissi, cercando di proteggere i posti di lavoro, pensare a come valutare il proprio magazzino, con l’eventualità anche di venderne una parte per sostenere l’esistenza della galleria.