Il protrarsi della fase di ripristino dei servizi IT ha spinto Campari a sottolineare come questa situazione potrebbe generare un impatto temporaneo sulla performance finanziaria del Gruppo
Greta Nasi: “Credo che non tutte le pmi siano adeguatamente strutturate per gestire potenziali attacchi, non solo dal punto di vista informatico ma in termini di awareness, cultura, processi e procedure”
“Incide in modo differente in termini di tipologia di attacco, di potenziali danni e di consapevolezza. Credo che tante piccole imprese non abbiano in questo momento la consapevolezza degli asset da proteggere e non tutte risultano adeguatamente strutturate per gestire potenziali attacchi, non solo dal punto di vista informatico ma in termini di awareness, cultura, processi e procedure. Le grandi aziende, al contrario, sono molto più consapevoli, hanno dispiegato procedure e pratiche tecnologiche di business continuity. Non a caso l’attacco subito da Campari è stato doppio, non hanno solo crittografato i dati ma li hanno anche scaricati, perché si tratta di organizzazioni in cui ci si aspetta ci siano sistemi di business continuity e di ridondanza dei database. Tuttavia, anche nelle grandi aziende resta il tema delle persone, della cultura e dell’orientamento alla sicurezza”.
Qual è l’impatto potenziale di un attacco informatico sulle performance finanziarie e quale, invece, sulla catena del valore e sulla clientela?
“Se consideriamo le grandi aziende quotate ci sono dati che mostrano che il danno finanziario è immediato perché non ha un impatto forte sul valore delle azioni ma è più reputazionale e di immagine, incidendo sulla relazione di fiducia nei confronti dei propri investitori, dei mercati e dei clienti. Chiaramente nel breve termine si parla di un danno importante. Se è vero che da Campari hanno portato via anche dei segreti industriali, è chiaro che si tratta di una perdita di vantaggio competitivo enorme. Coca-Cola, per esempio, ha brevettato tutto a eccezione della formula, ma da qualche parte ce l’hanno. Se si trovasse su un archivio informatico e venisse scoperta, subirebbe un danno importante di natura economica”.
In che modo le imprese possono proteggersi dai rischi informatici?
“Dal mio punto di vista, per le pmi è necessario innanzitutto un salto di qualità sulla gestione dei sistemi informativi, poiché non dispongono di sistemi strutturati. Con il covid-19, inoltre, il numero di email contenenti malware è aumentato. È necessario dunque creare una cultura della sicurezza informatica, in prima battuta tra i dipendenti e poi tra gli utenti che utilizzano internet. Poi c’è un tema di procedure. Se si mettessero in atto delle procedure organizzative di un certo tipo all’interno delle aziende, come dei check o dei sistemi autorizzativi per bonifici più alti di una certa cifra, insieme alla formazione e alla cultura della sicurezza informatica, si ridurrebbe il rischio che un malware qualsiasi possa danneggiarne i sistemi. È soprattutto una questione di competenze e di procedure organizzative. Su questo anche le grandi aziende sono meno ferrate, perché molto spesso si continua a vedere la sicurezza informatica come una questione tecnica e non come una questione strategica aziendale. Non è una priorità dei board”.