La Cina seconda solo agli Stati Uniti
In quanto a regioni geografiche, è la Cina a mostrare il più alto potenziale di crescita futuro. Attualmente il secondo mercato dopo gli Stati Uniti, il numero di aziende di biotecnologie cinesi è aumentato costantemente nel corso degli ultimi 30 anni, accelerando drammaticamente nell’ultimo decennio. La Cina, infatti, è stato l’unico tra i più importanti mercati di biotecnologie mondiali (Usa, Europa e Giappone) a sperimentare un incremento in quanto a nuove società biotech fondate tra il 2010 e il 2020, superando le 140 unità, secondo un’analisi di Boston Consulting Group. Tra le ragioni del successo cinese, spiega Justin Leverenz. CIO Developing markets equities e Senior portfolio manager di Invesco, “le riforme del sistema sanitario volte a stimolare l’innovazione in campo farmaceutico, in particolare sul fronte della ricerca e dello sviluppo (r&d). Prevediamo che tali riforme conferiranno una notevole dinamica favorevole al settore nel prossimo decennio e, come investitori a lungo termine in quest’era, siamo entusiasti delle nuove opportunità emergenti”. Vediamo perché.
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Le riforme alla base del successo cinese nel biotech
La prima riforma significativa per l’apertura del mercato biotech cinese al resto del mondo è avvenuta “nel 2015, quando il governo ha attuato riforme dell’autorità regolatoria preposta all’attività di r&d in campo farmaceutico, la storica Chinese food and drug administration (Cfda), per portarla agli stessi livelli qualitativi e di efficienza di analoghi organismi globali quali l’Fda statunitense e l’Agenzia europea per i medicinali (Ema). Questo ha consentito alle società cinesi di poter ricevere l’approvazione di nuovi farmaci in altri paesi”, aggiunge Leverenz.
Un ulteriore passo avanti in tal senso si è ottenuto “nel 2017, quando la Cina è entrata a far parte dell’Ich, un consorzio globale di autorità regolatorie di dieci paesi: in questo modo, il Dragone si è impegnato a innalzare e allineare le qualità delle proprie attività di r&d agli standard globali”. Tale ingresso, continua l’esperto di Invesco, “potrebbe esercitare sul settore della sanità cinese lo stesso impatto che l’adesione del paese all’Organizzazione mondiale del commercio esercitò sul segmento manifatturiero”.
Ma allineamento agli standard internazionali a parte, “l’annullamento dell’obbligo di possedere un’infrastruttura produttiva interna (per le società interessate a occuparsi di innovazione farmaceutica) ha semplificato la creazione di aziende biotecnologiche da parte degli scienziati. Negli ultimi tre-quattro anni, infatti, in Cina sono state fondate oltre 50 di tali imprese, che si sono via via rafforzate”.
Il punto di forza dell’outsourcing
In tale contesto, “le aziende biotech cinesi stanno diventando partner di primo piano per le multinazionali farmaceutiche e per le imprese biotecnologiche che intendono accelerare le attività r&d in Cina e nel mondo”, aggiunge Leverenz. Un esempio viene da Wuxi Biologics, “che sfrutta la forte domanda alimentata dai progressi scientifici (in particolare dai farmaci biologici) e dall’outsourcing delle multinazionali farmaceutiche e delle imprese biotecnologiche alla ricerca di un’offerta produttiva di qualità e di attività r&d efficienti”. Le 10 maggiori Organizzazioni di ricerca a contratto (Cro) a livello mondiale, infatti, nel 2018 hanno beneficiato di circa il 57% delle spese in outsourcing effettuate nel 2018, un livello di oltre il 12% superiore rispetto al 2011, secondo il Tufts Centre for the Study of Drug Development.
Biotech e Cina, il punto di vista di Invesco
“In quanto investitori a lungo termine nei mercati emergenti, siamo ottimisti circa l’ecosistema dell’innovazione farmaceutica in Cina. Adottiamo un approccio attivo, avvalendoci delle nostre competenze nel segmento allo scopo di individuare aziende biotecnologiche di qualità con forti attività r&d e portafogli competitivi, nonché partner r&d in outsourcing con leadership globale”, conclude Leverenz.
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