Andy Warhol e il ritratto della velocità
Può un ritratto, di per se? statico, immortalare la velocita?? E può una supercar esclusiva e costosissima costituire il soggetto per un’opera pop art, che e? invece per definizione orientata verso oggetti di uso comune? A queste due domande ha fornito un’efficace risposta positiva la BMW M1, nonostante la prima avesse già interessato il movimento futurista, e in particolare Balla e Boccioni, che avevano egregiamente rappresentato il dinamismo e la velocita?. E vi provvide anche Andy Warhol, il più autorevole esponente della pop art americana, allorché inserì tra i suoi cavalli di battaglia (come la bottiglia Coca Cola, il barattolo Campbell, l’immagine di Marilyn Monroe) la sua interpretazione della supercar BMW, anche se la vettura base costava più di una Ferrari.
Warhol aderì infatti all’iniziativa di BMW che consisteva nel trasformare alcune sue auto in opere d’arte, concedendone un esemplare ad un artista di tendenza per sottoporla alla sua creatività; la “BMW Art Car Collection”, che annovera 20 auto rielaborate ad hoc da artisti di fama mondiale, e? conservata ed esposta al Museo della Casa di Monaco di Baviera. La M1 fu la quarta vettura della serie ed e? noto come Warhol la dipinse personalmente, di getto e senza alcun lavoro preparatorio, in tuta blu, guanti da cucina e pennello da imbianchino, il tutto in soli 23 minuti, firmando, infine, con un dito sul paraurti posteriore.
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BMW M1, un effetto suggestivo
L’effetto e? davvero suggestivo: i colori si confondono, dando l’idea del movimento anche a vettura ferma. La M1 e? l’unica vera supercar prodotta dalla BMW o, volendo considerare anche le più turistiche roadster, quella successiva alla 507 e che precede la Z8. BMW intendeva, da un lato, dare evidenza del proprio progresso tecnologico e dell’eccellenza raggiunta, dall’altro sfidare la Porsche, che dominava nel Gruppo 5 del Campionato Granturismo. Concepì quindi una vettura estrema, ispirata alla scuola italiana, a cominciare dal posizionamento centrale del motore, affidato alla divisione Motorsport della Casa, che utilizzo? il sei cilindri in linea della 635 CSI, progettando una nuova testata bialbero. Per tale motivo la vettura assunse la denominazione definitiva, la lettera iniziale di Motorsport ed il numero “1” perché fu il primo modello a farlo, considerato che fino ad allora Motorsport non aveva seguito progetti in piena autonomia.
Tutto il resto venne affidato all’esterno, sia per sfruttare competenze allora non usuali in BMW, sia per avvalersi di capacita? produttive che consentissero di approntare in tempi brevi i quattrocento esemplari richiesti dalla normativa per le competizioni GT. Per la produzione fu incaricata la Lamborghini, cui fu affidata, insieme con l’Ingegner Dallara, anche la progettazione di telaio e sospensioni, mentre per linea e carrozzeria vennero scelti Giorgio Giugiaro e la sua Italdesign. La Lamborghini, tuttavia, oberata da altri gravosi impegni ed afflitta da una difficile situazione finanziaria e sindacale, dopo l’approntamento di un primo prototipo, fu subito sostituita da altre aziende di Modena e Reggio Emilia per la costruzione dei telai e lo stampaggio della carrozzeria in fibra di vetro, oltre che dalla stessa Italdesign per l’assemblaggio della vettura; la tedesca Baur si occupo? invece degli interni.
Per la linea Giugiaro coniugo? i suoi tipici stilemi con le suggestioni originate dal prototipo Turbo Concept del 1972, creato da Paul Bracq (il padre della Mercedes SL Pagoda nonché del treno TGV) in occasione delle Olimpiadi di Monaco, prototipo a sua volta ispirato alle berlinette italiane dell’epoca. Il frontale della M1, in particolare, riprendeva quello della Turbo Concept: un muso tagliente ed appuntito con i fanali a scomparsa ed al centro il simbolo a doppio rene BMW. L’architettura della M1 era estrema e marcatamente sportiva: larga, bassissima, cuneiforme, con linee tese e squadrate, tipiche del periodo e consuete per Giugiaro. Richiamava altre sue note creazioni, ad esempio l’Iguana Alfa Romeo, la Lotus Esprit, la Manta Bizzarrini, le Maserati Merak e Bora.
Di lato era spezzata da una scalfatura nera che collegava i paraurti correndo per tutta la fiancata e giungendo ad un posteriore basso e largo, dominato da un cofano in unico pezzo delimitato da due lunghe pinne raccordate da una veneziana che copriva il motore; ai due estremi di coda campeggiavano due marchi BMW. Il motore di 3,5 litri e 277 cavalli era montato in posizione centrale longitudinale su un telaio a traliccio tubolare, con sospensioni a quattro ruote indipendenti. La vettura venne presentata al Salone di Parigi del 1978 dando subito l’impressione di essere una vera e propria auto da corsa omologabile anche come GT e, nonostante il prezzo proibitivo, fece subito il pieno di prenotazioni.
Il debutto in gara
Raggiunto il numero minimo di esemplari venduti debutto? in gara, in una versione dotata di un biturbo da 850 cavalli, con telaio e carrozzeria alleggerite; vinse in particolare sui circuiti del Nu?rburgring e del Salzburgring e, proprio quella in livrea Warhol, si piazzo? sesta assoluta alla 24 Ore di Le Mans del 1979. Ma la maggior notorietà la ottenne grazie ad una geniale trovata della casa di Monaco. Istituì uno specifico campionato, denominato ProCar, da disputarsi con sole M1 lo stesso giorno dei Gran Premi di Formula 1, sui medesimi circuiti, dopo le prove e prima della corsa vera e propria, tra i piloti che avevano conseguito i migliori tempi ed i privati gentleman driver all’uopo qualificatisi.
Le M1 ottennero cosi? nel ‘79/‘80 una ribalta eccezionale rappresentata dai medesimi spettatori e giornalisti che gremivano le tribune per i G.P., tutti entusiasti nel vedere i piloti più famosi combattere ad armi pari su autovetture identiche. Tranne i piloti Ferrari e Renault, che non ottennero le autorizzazioni delle rispettive Case, tutti gli altri si cimentarono nel Campionato ProCar, che fu vinto nel ‘79 da Niki Lauda e nell’80 da Nelson Piquet. Prestazioni eccezionali, sia pure non estreme, erano garantite comunque anche dalle M1 stradali, opportunamente domate. Offrivano infatti grande guidabilità, maneggevolezza e sensazioni di notevole prestanza, a patto di non spingerle al limite, davvero impegnativo e riservato ai guidatori più esperti.
BMW M1, la fine al 400
La produzione cesso? nel 1981, al raggiungimento – con precisione teutonica – del quattrocentesimo esemplare, a parte ovviamente le complessive cinquantasei versioni da competizione. Successivi omaggi le vennero comunque tributati dalla BMW, dapprima nel 2008, con la M1 denominata appunto Hommage (presentata in occasione del trentesimo anniversario al Concorso d’eleganza Villa d’Este di Cernobbio) e poi nel 2019, con la Vision M Next, al passo coi tempi in versione ibrida integrale.
Le poche M1 prodotte in versione stradale, in realtà vere e proprie auto da corsa in abiti civili, sono spesso state appannaggio di piloti professionisti e personaggi del settore: non se le fecero sfuggire, ad esempio, Niki Lauda, Gerhard Berger, Harald Ertl o la famiglia di Juan Pablo Montoya, nonché Paul Walker di “Fast & Furious” ed il designer Franco Sbarro. Difficile che risultino invendute in occasione delle apparizioni nelle aste internazionali, ove spuntano generalmente cifre vicine ai 7 / 800.000 euro. Quotazioni a parte meritano invece gli esemplari che fanno storia a se?, come quelli – rarissimi – prodotti appositamente per le competizioni, che valgono più del doppio delle vetture stradali. Altrettanto vale per le vetture che hanno alle spalle vicende particolari, come ad esempio la perfetta “barn find” dell’81 ritrovata recentemente in Sicilia, dopo quasi 35 anni trascorsi in un garage, con meno di 7500 chilometri all’attivo e mai immatricolata.