“Garantiti dallo Stato italiano”: questa dicitura, che accompagna lo specchietto riassuntivo dei buoni fruttiferi postali, potrebbe scomparire se lo Stato vende tutta la sua partecipazione nel capitale di Poste Italiane? L’ipotesi di questa vendita è circolata sulla stampa nei giorni scorsi, in seguito alle indiscrezioni pubblicate dal Sole 24 Ore, secondo le quali l’idea della privatizzazione totale di Poste sarebbe stata ventilata al ministero dell’Economia, anche se il dossier sarebbe ancora da aprire.
Il governo ha in mente, nel complesso, un piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro entro il 2026: vendere la quota del 29,26% che il Mef detiene in Poste renderebbe intorno ai 3,84 miliardi di euro. Al momento, non sono arrivate né conferme né smentite ufficiali su quest’ipotesi, che sembra fare il paio con il recente piano di dismissione della quota pubblica in Banca Monte dei Paschi di Siena.
Le famiglie italiane hanno investito complessivamente oltre 191 miliardi di euro in buoni fruttiferi postali, che rappresentano uno dei titoli più popolari per la gestione della liquidità. Il nome “buono postale”, tuttavia, potrebbe risultare un po’ fuorviante: infatti, chi acquista il titolo in realtà non sta prestando denaro Poste Italiane, ma a Cassa depositi e prestiti (Cdp), la banca pubblica che detiene a sua volta il 35% di Poste. “Come noto, i buoni fruttiferi postali sono prodotti finanziari nominativi: essi vengono emessi da Cassa Depositi e Prestiti e collocati sul mercato per il tramite di Poste Italiane”, ha spiegato a We Wealth l’avvocato Luca Zitiello (Zitiello e associati), “sono rimborsabili a vista e sono assistiti dalla garanzia dello Stato italiano”. L’aspetto cruciale per mantenere tale garanzia è data dalla proprietà pubblica di Cdp, che non è in discussione.
“La notizia della possibile completa privatizzazione di Poste Italiane ha fatto nascere alcuni dubbi da parte dei risparmiatori sull’affidabilità di questi titoli ed in particolare sul possibile venir meno della garanzia statale al momento del rimborso”, ha proseguito Zitiello, “in realtà rispetto ai titoli già emessi, anche qualora dovesse perfezionarsi la totale privatizzazione di Poste Italiane, nulla cambierebbe in termini di tenuta della garanzia al momento del rimborso dei buoni fruttiferi postali. L’emittente Cdp rimarrebbe pubblico, così come rimarrebbe immutata la garanzia dello Stato descritta nei fogli informativi”.
In caso di privatizzazione di Poste, piuttosto, cambierebbe la “proprietà e la natura del collocatore, Poste Italiane che opera come Banco Poste, ma ciò non inciderebbe sull’affidabilità e sicurezza dei titoli”, ha precisato l’avvocato.
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I buoni fruttiferi di domani saranno ancora garantiti?
Per i buoni fruttiferi postali che saranno emessi in futuro, le certezze sono un po’ meno. Anche in assenza dello Stato nell’azionariato dell’azienda, Cdp resterebbe legata a Poste con la sua quota di maggioranza relativa. Se sarà la società guidata da Matteo del Fante ad avere il mandato di distribuire i buoni emessi da Cdp è probabile, ma non è sicuro. “La completa privatizzazione di Poste Italiane potrebbe provocare un cambiamento della natura degli accordi e della strutturazione”, dei buoni postali fruttiferi, ha concluso Zitiello, “ivi compresa la garanzia statale del rimborso. Ma ciò attiene a dinamiche che in questo momento è difficile prefigurare”.