I Buoni fruttiferi postali, un classico del risparmio italiano, hanno una storia più lunga della Repubblica stessa: il primo è stato emesso nel 1925. Come per tutti i vecchi classici, chi li sceglie preferisce andare sul sicuro e assumere pochi rischi. In Italia, questa tendenza è evidente: infatti, il 6% della ricchezza finanziaria delle famiglie (che quindi esclude le case) viene detenuto in risparmio postale: 90 miliardi di euro in libretti e 191,5 miliardi proprio in buoni fruttiferi, secondo i dati di Cassa depositi e prestiti aggiornati a fine giugno 2023. Per avere un’idea, il risparmio investito in soli buoni fruttiferi postali è paragonabile alle intere somme gestite e amministrate, nello stesso periodo, da Banca Mediolanum e Banca Generali.
Come i titoli di Stato italiani quali Bot e Btp, anche i Buoni fruttiferi postali sono legati alla solvibilità dell’Italia, in quanto sono emessi da Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero delle Finanze. Il rendimento dei buoni postali è tassato al 12,5%, un prelievo inferiore rispetto a obbligazioni societarie, azioni e altri prodotti tassati al 26%.
Le domande chiave sono spesso le seguenti. I buoni postali rendono di più o di meno rispetto ai Bot o Btp di pari durata? E sono più o meno rischiosi? In sintesi: sono meno rischiosi, ma anche meno redditizi. “Rispetto a Bot e Btp si ottiene un livello di rendimento decisamente inferiore”, ha dichiarato a We Wealth Rocco Probo, analista della società di consulenza finanziaria indipendente Consultique, “sulla scadenza a quattro anni il buono postale offre il 3% annuo, contro il 3,8-3,9% del Btp di pari durata”. In alcuni casi il Buono fruttifero postale può rendere anche il 6%, ma quest’ultima è un’opportunità riservata ai minori e per un investimento che dura almeno 17 anni.
Il vantaggio chiave? Con il buono fruttifero postale “si può riottenere indietro il capitale investito in qualsiasi momento”: non si può dire la stessa cosa di un titolo di Stato. Mentre il mercato obbligazionario può influenzare il valore di un Btp venduto prima della scadenza, il buono fruttifero rimane stabile, immune da tassi e spread se si decide di liquidarlo in anticipo.
Per chi desidera la sicurezza di riottenere il capitale investito anche prima della scadenza, il buono fruttifero è una scelta logica, anche se la possibilità vendere con profitto un Btp grazie alla volatilità di mercato potrebbe essere interessante per alcuni investitori più smaliziati.
“Nel confronto con i Bot e i Btp, garantiti sempre dallo Stato italiano, i buoni fruttiferi postali presentano vantaggi e svantaggi da considerare. Il vantaggio è sicuramente l’assenza del rischio di mercato”,ha dichiarato a We Wealth il consulente finanziario indipendente Matteo Cadei (Aegis Scf), anche se “la strategia migliore, quando si compra un titolo di Stato (e non si vuole fare speculazione), è portarlo a scadenza. Il meccanismo è semplice: compri a 90 e il titolo a scadenza ti rimborsa 100”. Se si adotta questo approccio, “ con la giusta strategia di investimento e pianificazione”, i classici titoli di Stato, al momento e a parità di tassazione, sono da preferire” in quanto “hanno un rendimento maggiore”.
Il punto debole: gli interessi arrivano solo a scadenza
“I buoni fruttiferi postali prevedono il pagamento degli interessi solamente alla scadenza”, ha affermato Gabriel Debach, analista di mercato di eToro, una piattaforma di trading. Pertanto, vendendo i buoni postali in anticipo si rinuncia al rendimento. Al contrario, i sottoscrittori di Btp ‘prendono e portano a casa’ cedole periodiche, di solito ogni sei mesi. Eccezione fanno i Buoni ‘a tappe’ come il 3×2, che consentono la liquidazione anticipata dopo tre anni, senza sacrificare gli interessi maturati nel primo triennio.
Certamente, optare per i buoni postali implica una predilezione per la “sicurezza”, poiché si mira a assicurarsi un rendimento stabile nel tempo. Tuttavia, ha sottolineato Debach, è essenziale essere consapevoli dell’impegno nel tempo, poiché liquidare anticipatamente comporta nella gran parte dei casi la perdita degli interessi accumulati.
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L’altro rivale, il conto deposito non vincolato
Il conto deposito non vincolato rappresenta un’alternativa bancaria simile al buono fruttifero postale. Anche qui, la somma investita può essere recuperata senza fluttuazioni e rapidamente.
Tuttavia, la solvibilità dei conti deposito è legata alla solidità della banca e non alle finanze pubbliche, con rendimenti tassati al 26%, meno vantaggiosi rispetto ai buoni postali (12,5%). Inoltre, la nuova legge di Bilancio prevede che i titoli di Stato, inclusi i buoni fruttiferi, non concorreranno più alla determinazione dell’Isee, un vantaggio per chi cerca agevolazioni di welfare.
Il punto a favore del conto deposito non vincolato è che, in molti casi, offre un rendimento più alto del buono postale anche al netto della tassazione meno favorevole. “E’ sufficiente infatti trovare dei conti deposito non vincolati a quattro anni con rendimento pari al 3,5% per ottenere un rendimento netto pressoché equivalente a quello dei buoni fruttiferi postali”, ha affermato Probo, “al momento sul mercato sono disponibili diverse soluzioni con tassi più elevati”.
E’ dello stesso parere anche Cadei: “data la similarità tra i due strumenti possiamo scegliere quello con il rendimento maggiore”, ossia un conto deposito, “oggi le alternative ci sono”.
Come inserire nella pianificazione finanziaria i buoni postali fruttiferi
“I buoni fruttiferi postali, essendo per natura strumenti di investimento molto semplici, dovrebbero essere utilizzati solo dai risparmiatori/famiglie che vogliono far fruttare i propri soldi senza correre eccessivi rischi. È fondamentale chiarire che l’utilizzo di questo strumento si basa su una prospettiva di breve termine e su un profilo di rischio veramente conservatore”, ha dichiarato Cadei (Aegis Scf), “per obiettivi finanziari a lungo termine, come la pensione, l’università dei figli, o in generale la costruzione di un patrimonio, i buoni fruttiferi postali non sono sicuramente la scelta più adatta, dato che la loro natura limita il potenziale di crescita del capitale nel lungo periodo”.
Il buono postale ordinario, che consente un investimento fino a vent’anni con rendimento lordo crescente finol al 3,5% come dovrebbe essere inserito in un piano a lungo termine? “Se il risparmiatore avesse un obiettivo finanziario a 20 anni, una volta coperte le emergenze e gli imprevisti, il resto del capitale dovrebbe essere investito in un portafoglio composto dal 60-80% di azioni”, ha dichiarato Cadei, “facendo una stima con rendimenti passati a 30 anni, renderebbe, in media, il 7,5%”. Nettamente di più rispetto al 3,5% finale offerto dai buoni postali ordinari. In una simulazione probabilistica il portafoglio azionario porterebbe 100mila euro iniziali a quota 425mila al termine dei vent’anni; con un rendimento del 3,5%, invece, ci si fermerebbe a 200mila euro (anche se, ha precisato Cadei, “in realtà il rendimento del buono sarebbe inferiore perché i rendimenti non sono del 3,5% dal primo anno, ma sono crescenti”).
Buoni postali fruttiferi come scegliere
Come sempre, “gli investitori dovrebbero considerare attentamente i termini e le condizioni specifiche di ciascuna offerta e valutare la propria strategia di investimento, così come le esigenze finanziarie a breve e lungo termine”, ha ricordato Debach mostrando come anche all'interno dei buoni postali i rendimenti siano variegati a seconda della tipologia. Si può arrivare, in casi particolari come il buono fruttifero postale dedicato ai minori, a rendimenti del 6% lordo. “Esistono diverse tipologie di buoni”, ha concluso Probo, "dai classici buoni richiamabili anticipatamente, fino a strutture con aggiunta dell’indicizzazione a rendimenti azionari (Buono Risparmio Sostenibile), i buoni ordinari con tassi crescenti e infine i buoni dedicati ai minori.
Per chi ha investito in un buono fruttifero postale, la Cassa depositi e prestiti mette a disposizione uno strumento online per calcolare il rendimento, accessibile a questo link.