Invecchia la popolazione: viviamo tutti più a lungo e, mentre matura e arriva alla terza età, la generazione più numerosa della Storia, i baby boomers, abbiamo smesso di fare figli. Una chiara tendenza che si riflette anche nella forza lavoro del nostro Paese, con l’aumento dell’età media.
Come influisce tutto questo sulle politiche di welfare delle aziende? Vediamo prima qualche numero per inquadrare la situazione.
L’indice di dipendenza degli anziani, che misura il rapporto tra cittadini non lavoratori (bambini e pensionati) e popolazione in età da lavoro, è per Eurostat pari a 34,9% in Italia, dato serio ma non drammatico che però nasconde una grave anomalia: sui 37 milioni di italiani in età da lavoro, solo 23 sono effettivamente occupati, poco più del 62%. Tutti disoccupati gli altri? Qualcuno sì, molti occupati in nero, metà delle donne inoccupate, molte delle quali si dedicano all’accudimento di bambini e anziani non del tutto autonomi. La bassa incidenza di italiani in età lavorativa effettivamente occupati falsa quindi, in peggio, l’indice oltre a prospettare un ampio numero di italiani che arriveranno all’età di vecchiaia senza contribuzione previdenziale. Tornando a quei 23 milioni di italiani che sono ufficialmente occupati, l’età media si sta alzando, come peraltro in tutta Europa: la percentuale di lavoratori tra i 55 e i 64 anni nell’Europa a 27, segnala Eurostat, è passata dal 12% al 20% negli ultimi 15 anni (2004-2019), seppur rimanga del 60% circa la quota di 55-64enni impiegati. Naturalmente molti Paesi stanno modificando la propria politica pensionistica, come abbiamo fatto noi, passando da un sistema a beneficio definito (retributivo) a un sistema a contribuzione definita (contributivo) e aumentando la soglia dell’età pensionistica. Questo spiega in parte l’invecchiamento della forza lavoro europea con più lavoratori senior che prolungano la propria vita professionale. In Italia, con la natalità più bassa d’Europa, si aggiunge che non ci sono più giovani lavoratori, se ci sono non sembrano qualificati abbastanza per le aziende che cercano mano d’opera ben formata. E se sono qualificati stanno scegliendo con cura per quale azienda lavorare, previlegiando quelle che garantiscono flessibilità di orario e di luogo di lavoro o addirittura collaborazioni di stampo fee-lance.
Se l’età media del lavoratore sale: la reazione delle imprese
Con una forza lavoro che invecchia e che avrà davanti una sempre maggiore aspettativa di vita, come cambiano le politiche aziendali?
Boston Consulting Group e Jointly hanno condotto un’indagine sui lavoratori che svolgono attività di caregiving, un welfare familiare che risponde alla carenza di copertura dell’assistenza da parte del pubblico (solo 15%). In Italia sono 8,5 milioni i caregiver; tolto il milione ufficiale di badanti, rimangono oltre 7 milioni di persone che si fanno carico dell’assistenza. La ricerca ci racconta che oltre il 30% dei lavoratori che si prendono cura di anziani destina più di 14 ore settimanali al caregiving. Fuori da questi numeri, la quantità infinita di donne che hanno rinunciato al lavoro per occuparsi personalmente di un anziano bisognoso di assistenza. Il 17% dei lavoratori interpellati spende più di 10mila euro l’anno per l’assistenza privata. Valori confermati da una spesa di welfare familiare di 136,6 miliardi di euro, di cui 39 miliardi per la salute e 29 miliardi per l’assistenza a un anziano. La prospettiva di un raddoppio a breve degli over 80 e degli anziani non autosufficienti disegna un futuro tutt’altro che roseo, tanto più in un Paese che non ama assicurarsi. Il welfare c’è, dice la ricerca, ma non è conosciuto o se c’è non corrisponde ai servizi realmente necessari. Così solo il 3% dei lavoratori intervistati vi accede.
Quindi la prima operazione che alcune aziende più illuminate fanno è comunicare i servizi disponibili sulla propria piattaforma welfare. Alcune aziende hanno scelto la leva della flessibilità, con la possibilità per i dipendenti di scegliere mese per mese la percentuale di lavoro da svolgere in remoto o addirittura concentrano l’orario lavorativo su 4 anziché 5 giorni lavorativi. Lo fa per esempio TeamSystem, azienda di soluzioni digitali gestionali con sedi su tutto il territorio italiano. Altre addirittura, dopo aver mappato geograficamente la forza lavoro, organizzano sedi di co-working riconosciuto come lavoro in ufficio lontane dal quartier generale, per ridurre i tempi degli spostamenti – e accordi con asili nido vicini alla sede di lavoro. Questo è il caso di Terna, principale operatore di reti di trasmissione dell’energia elettrica con oltre 5.100 dipendenti in tutta Italia.
Altre offrono asili aziendali per figli e, grande novità, nipoti di una forza lavoro sempre più anziana. Atm, azienda tramviaria milanese con 11.000 dipendenti, è appena stata insignita della Mela d’Oro del premio Belisario per l’impegno di welfare a sostegno delle donne lavoratrici per la conciliazione vita privata e vita professionale.
Qualcuno sta già pensando a integrare nel proprio welfare percorsi di formazione finanziaria e assicurativa per spiegare ai propri dipendenti come tutelarsi dai rischi legati alla longevità; di orientamento psicologico all’assistenza, specie nei casi di demenza; o attraverso accordi con strutture sul territorio provider di servizi per l’assistenza. Aziende come Jointly, Intoo e tante altre offrono partnership alle imprese per migliorare il trattamento dei propri dipendenti. L’ultimo rapporto Workmonitor di Randstad, valuta nel 29% i lavoratori italiani che stanno cercando un nuovo lavoro, collocando l’Italia al terzo posto nel mondo, e in un altro 24% quelli che starebbero pensando di cambiare lavoro. Fa il 54% dei lavoratori italiani che è scontento dell’impiego che ha. Prendersi cura dei propri lavoratori è una strategia aziendale di mantenimento della propria cultura e del proprio know-how, oltre che un modo per far lavorare meglio i dipendenti, non un atto di generosità. Per non parlare del ruolo sociale che potrebbe incarnare.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di luglio-agosto 2022)