La direttiva impone l’obbligo per le società quotate di raggiungere entro il 2026 una quota del 40% di donne nei consigli non esecutivi e del 33% qualora si considerassero gli amministratori con e senza incarichi esecutivi
Paola Mascaro, Valore D: “Un aspetto molto importante della direttiva è la soglia del 33% nei ruoli esecutivi. Al momento le donne sono presenti quasi esclusivamente in ruoli di consigliere indipendente e non esecutivo”
Parlamento e Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla direttiva per la parità di genere nei board delle società quotate proposta dalla Commissione nel 2012. Una misura che punta a garantire, entro il 2026, che almeno il 40% dei posti di amministratori non esecutivi sia ricoperto dal sesso sotto-rappresentato. E che ben si sposa con quanto disposto dalla legge Golfo-Mosca in Italia. Paola Mascaro, presidente di Valore D, spiega a We Wealth cosa cambia. E perché la normativa rappresenta “un traguardo vantaggioso per donne, uomini e imprese”.
La Commissione europea aveva presentato per la prima volta la sua proposta nel novembre 2012. Ma sebbene il Parlamento avesse a sua volta adottato una posizione in tal senso nel 2013, sono trascorsi 10 anni prima di raggiungere un faticoso accordo, anche a causa delle resistenze di alcuni Stati membri che ritenevano che misure vincolanti a livello europeo non rappresentassero il modo migliore per perseguire l’obiettivo dall’equilibrio di genere. In questo scenario, stando agli ultimi dati risalenti al mese di ottobre e diffusi dal Consiglio, solo il 30,6% dei membri dei Consigli di amministrazione e l’8,5% dei presidenti di Consiglio erano donne (seppur in crescita rispetto al 10,3% e al 3% del 2011). Eppure, il 60% degli attuali laureati appartengono alla componente femminile della popolazione.
Direttiva Ue per la parità di genere: cosa prevede
La direttiva “Women on board” impone dunque l’obbligo per le società quotate in Borsa di raggiungere entro i prossimi quattro anni una quota del 40% di donne nei consigli non esecutivi e del 33% qualora si scegliesse di applicare le nuove norme agli amministratori con e senza incarichi esecutivi. Gli Stati membri dovranno a loro volta assicurarsi che le imprese si impegnino a raggiungere questo obiettivo, garantendo che le procedure di nomina siano chiare e trasparenti e che i candidati vengano valutati oggettivamente sulla base dei meriti individuali, indipendentemente dal sesso. Questo significa che laddove due candidati dal sesso differente siano ugualmente qualificati, la preferenza dovrà essere espressa nei confronti del candidato del sesso sotto-rappresentato (almeno nelle aziende in cui l’equilibrio tra generi non risulta raggiunto).
Inoltre, le imprese dovranno rivelare i propri criteri di qualificazione qualora il candidato non selezionato lo richieda e dovranno assumere impegni individuali per raggiungere l’equilibrio di genere tra i propri amministratori esecutivi. Le società che non riescono a raggiungere gli obiettivi fissati nella direttiva dovranno segnalarne i motivi e le misure che stanno adottando per ovviare a tale carenza. Gli Stati membri, dal canto proprio, dovranno intervenire con sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, si legge sul sito della Commissione, che possono prevedere anche l’annullamento della nomina dell’amministratore in questione.
Cosa cambia per le società quotate italiane
L’accordo politico provvisorio raggiunto da Parlamento e Consiglio dovrà ora ottenere l’approvazione formale dei co-legislatori. La direttiva entrerà poi in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e gli Stati membri dovranno recepirne i contenuti entro due anni. I paesi che, prima dell’entrata in vigore della direttiva Ue, abbiano già compiuto progressi sufficienti in tal senso o implementato una legislazione altrettanto efficace, potranno sospendere i requisiti della direttiva relativi alla procedura di nomina o di selezione. In Italia, per esempio, vige la legge Golfo-Mosca che nel 2011 imponeva la presenza del 30% del “sesso meno rappresentato” nei board delle società quotate, poi innalzato al 40% con la Legge n. 160/2019. Cosa cambierà dunque?
“L’accordo sulla direttiva #WomenOnBoard tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo per la presenza di donne nei Consigli di amministrazione delle aziende quotate è un tassello importante che aspettavamo da tempo”, osserva Mascaro. “In Italia, con gli ultimi interventi normativi alla legge Golfo-Mosca che pone la soglia dei consiglieri del genere meno rappresentato al 40%, è già così. Un aspetto molto importante della direttiva è la soglia del 33% nei ruoli esecutivi, che darebbe più forza alla presenza di diversità, e quindi femminile, nei board in cui al momento le donne sono presenti quasi esclusivamente in ruoli di consigliere indipendente e non esecutivo”, aggiunge. Poi conclude: “È quindi un traguardo vantaggioso per le donne, gli uomini e le imprese perché apre la strada al talento, alla diversità e quindi alla crescita come dimostrano numerosi studi. Le aziende con maggiore diversità e inclusività sanno leggere meglio i bisogni del mercato, sono più aperte, sono più innovative. Bisogna continuare in questa direzione”.