Guardare solo ai valori nominali di un investemnto rischia di creare un’illusione monetaria perché così facendo non si considerano variabili che invece hanno un forte impatto sul risultato finale, come l’inflazione e la tassazione
L’andamento del potere d’acquisto è uno di quegli aspetti che pochi tengono in considerazione quando investono un po’ perché negli ultimi anni il problema era stato inverso, quello della deflazione, un po’ per mancanza di adeguate conoscenze finanziarie, un problema con cui ci scontra spesso nel nostro Paese
In Italia negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a un aumento dei prezzi generali di circa il 37%. Parallelamente, i mercati azionari globali sono cresciuti di quasi il 220%
Dopo anni di inflazione vicina a zero, i risparmiatori italiani hanno dovuto fare i conti con una forte accelerazione del carovita che ha toccato un picco dell’11% nell’ottobre 2022, livello che non si vedeva dagli anni Settanta e a cui tanti erano impreparati. Infatti, la maggior parte dei risparmiatori basa le proprie valutazioni prendendo in considerazione il valore nominale degli asset ed è sulla base di quello che sceglie come spendere o investire.
I valori nominali sono un po’ la “prima linea” dei dati, i più semplici da misurare e, apparentemente, i più oggettivi. Di questi tempi, però, si tratta di un’illusione monetaria perché così facendo non si considerano variabili che invece hanno un forte impatto sul risultato finale, come l’inflazione e la tassazione.
Che cosa considerare prima di investire
Ma facciamo un passo indietro. Il rendimento nominale di un investimento è quello che non tiene in considerazione l’inflazione, mentre quello reale è quello al quale un investitore dovrebbe prestare maggiore attenzione, in quanto al netto del costo della vita, quindi dell’inflazione, i cui effetti a livello di rincari dei prezzi possiamo sperimentare ogni giorno.
In pratica, supponiamo di aver sottoscritto un investimento cha ha un rendimento nominale del 3% e di avere un’inflazione dell’1%. Il rendimento effettivo, quindi reale, sarà pari al 2% poiché dal rendimento nominale del 3% si dovrà sottrarre l’andamento del carovita.
Un’erosione del potere d’acquisto che vale sia per chi lascia i soldi sul conto corrente sia per chi investe a medio o lungo termine, perché per capire se si guadagnano o si perdono soldi con i propri investimenti bisogna fare i conti anche con l’aumento dell’inflazione negli anni, un elemento chiave che andrà a incidere sul rendimento ottenuto.
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Se cresce l’economia, cresce anche il carovita
Questo perché è fisiologico che, con la crescita dell’economia, l’inflazione tenda a salire. E anche se il valore nominale della moneta rimane lo stesso – 10 mila euro di oggi rimarranno 10 mila euro anche tra un ventennio – il valore reale di questo gruzzolo sarà in parte eroso proprio dall’inflazione.
In Italia negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a un aumento dei prezzi generali di circa il 37%. Parallelamente, i mercati azionari globali sono cresciuti di quasi il 220%. E’ evidente che investendo nei mercati azionari, si sarebbe abbondantemente coperto il tasso d’inflazione e il risparmiatore avrebbe anche incassato un ottimo guadagno.
Si tratta di un risultato estremamente positivo, ma è importante non buttarsi a capofitto solo sui mercati azionari che offrono grandi opportunità a fronte, però, di un grado di volatilità molto elevato e non adatto a tutti i risparmiatori.
Scarse conoscenze sull’inflazione
Eppure l’andamento del potere d’acquisto è uno di quegli aspetti che pochi tengono in considerazione quando investono un po’ perché negli ultimi anni il problema era inverso, quello della deflazione, un po’ per mancanza di adeguate conoscenze finanziarie, un problema con cui ci scontra spesso nel nostro Paese.
Proprio su questo tema Intesa Sanpaolo e il Centro Studi Einaudi hanno da poco presentato un’indagine dedicata alle famiglie italiane che conferma questa “ignoranza”. Dalle risposte, infatti, emerge che meno della metà del campione interpellato è in grado di dare una definizione corretta di inflazione, mentre circa un quarto la confonde con il livello dei prezzi, qualcuno addirittura con il deprezzamento della valuta, mentre altri con lo scostamento dal target della Banca centrale europea.
Ma il dato più preoccupante è che oltre un terzo del campione (che sale al 41% se si escludono coloro che non hanno risposto alla domanda) fuggirebbe l’inflazione «dalla parte sbagliata», cioè mantenendo il denaro liquido o in titoli a tasso fisso.
Morale della favola, anzi dell’indagine? Trova una protezione da scelte errate soltanto chi si affida alla banca o al consulente finanziario, che rappresentano un elemento di sicurezza, indirizzando le scelte degli intervistati verso strumenti che garantiscono una maggiore tutela.