A luglio 2021 Morningstar stimava che oltre il 24% dei fondi in Europa era stato classificato dagli asset manager come sostenibile in base agli artt. 8 e 9
La domanda di informazione esg è salita quasi del 150% nel 2020 rispetto all’anno prima e quella di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti finanziari del 141,5%
Bicciato: “Bisogna lavorare sul reskill dei lavoratori. Non tutti i green job riusciranno a compensare la disoccupazione prodotta dalla transizione sostenibile”
Il gap informativo
“A luglio 2021 Morningstar stimava che oltre il 24% dei fondi in Europa era stato classificato dagli asset manager come sostenibile in base agli artt. 8 e 9 (della Sustainable finance disclosure regulation, la nuova normativa europea sull’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, ndr). In Italia siamo al 30% del totale del patrimonio investito secondo i dati di Assogestioni”, racconta Luca Testoni, direttore di EticaNews. “Ma per noi occorre iniziare a ragionare sull’essere sostenibile oltre che sul prodotto finanziario”. In questo contesto, aggiunge, si evidenzia un gap innanzitutto informativo. Dati Peregrine mostrano come la domanda di informazione esg sia salita quasi del 150% nel 2020 rispetto all’anno prima e quella di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti finanziari del 141,5%. Un nodo che viene evidenziato anche dagli stessi consulenti finanziari, che nel 60,25% dei casi considerano l’informazione sulle tematiche di finanza responsabile migliorabile, a fronte di un maggior interesse dei propri clienti sul livello esg dei gestori sri (percepito dal 48,33% dei soggetti nel 2020 contro il 66,26% nel 2021). Senza dimenticare il problema della verificabilità dei dati, con i conseguenti rischi di greenwashing.
La comparabilità dei dati
“I mercati finanziari stanno iniziando a scontare sia l’importanza della sostenibilità sia dei rischi a essa connessi, anche se non in maniera sufficiente”, interviene Gian Paolo Ruggiero del Dipartimento del Tesoro del Mef. “Questo presumibilmente per una serie di criticità. La prima è la carenza di un’interoperabilità dei diversi approcci di sostenibilità (definizioni, tassonomie, metodologie di rating esg non si parlano tra loro); poi la mancanza di dati sottostanti di qualità; e infine la mancanza di una coerenza e una comparabilità di questi dati”. Secondo Ruggiero, è necessario infatti migliorare la disponibilità, la qualità e la comparabilità delle informazioni e delle metriche esg (allineando gli elementi di sostenibilità al valore di lungo termine dell’impresa) e migliorare la verificabilità dei dati, delle metodologie e dei piani di transizione. Il tutto, aggiunge, in un quadro regolamentare e di supervisione “efficace e dinamico”.
Fattori esg: Europa vs Usa
Una regolamentazione che, per Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la finanza sostenibile, garantisce anche all’Europa una marcia in più rispetto all’altra parte dell’Oceano. Malgrado le criticità esistenti. “La tassonomia è uno strumento che, se opportunamente applicato insieme agli altri regolamenti, può aiutare a rafforzare l’identità stessa dell’essere un investitore sri. Comparando quello che succede in Europa con quello che accade negli Stati Uniti (dove non c’è una tassonomia come quella europea) emerge che in realtà il 69% dei fattori esg considerati per gli investimenti negli Usa sono molto vaghi e meno approfonditi rispetto a quelli utilizzati in Europa”, spiega il segretario generale.
Il costo della transizione
Ampliando lo sguardo alla transizione sostenibile, secondo Bicciato oggi è indispensabile una visione di sistema. “Nei programmi che si stanno mettendo in campo, a partire dal Next generation Eu, bisogna lavorare sul reskill e la riqualificazione di quei lavoratori che vengono tagliati fuori. Non tutti i green job riusciranno infatti a compensare la disoccupazione prodotta dalla trasformazione, per cui occorre mettere in moto quei meccanismi per fare in modo che questa manodopera venga riassorbita ed evitare quel contraccolpo sociale che potrebbe mettere in discussione tutto l’impianto della finanza sostenibile”. In questo contesto, aggiunge, soggetti pubblici e privati non riusciranno a superare la sfida da soli. Bisogna rafforzare le aziende sostenibili e spostare la lente dal “come investire” al “dove investire”.
Il nuovo volto del risparmio gestito
“Il sistema finanziario ha capito che può e deve essere protagonista del cambiamento. E chi parla di finanza etica da 20 anni, come noi, deve essere disposto ad alzare sempre l’asticella, prendendo anche posizioni su tematiche un po’ più scomode, come il nucleare o l’accesso alle medicine”, osserva Roberto Grossi, vicedirettore generale di Etica Sgr. La filiera del risparmio gestito, come anticipato in apertura, assume in definitiva un ruolo diverso. Diventando protagonista non solo della ripresa ma anche dell’economia reale. “Non siamo qui per creare output sostenibili ma per essere sostenibili”, spiega Alessandro Marchesin, amministratore delegato di Sella Sgr. E non è tramite un prodotto che gli operatori del mercato possono “abbracciare il cambiamento”, aggiunge Luca Giorgi, head of iShares & wealth di BlackRock. “I prodotti rappresentano il punto di arrivo. Ricordiamo che a livello globale gli investimenti sostenibili hanno superato i 2mila miliardi. Ma la ricchezza globale supera i 90mila miliardi. Siamo solo all’inizio”, conclude Giorgi.