We Wealth ha intervistato Antonio Longo, avvocato dello Studio legale Dla Piper
Secondo la Corte, il disposto normativo adottato dal legislatore spagnolo, benché risponda alla necessità di contrastare l’elusione e l’evasione fiscale, pregiudica altri diritti che pure il legislatore nazionale deve tutelare: vale a dire, il diritto dei contribuenti a investire capitali in altri Stati membri, in ossequio alla libertà di circolazione di capitale prevista ai sensi dell’art. 63 del Tfue, nonché il diritto dei contribuenti a non essere discriminati.
Su quest’ultimo aspetto, osserva la Corte, la previsione spagnola, prevedendo, tra le altre cose, la possibilità per l’amministrazione finanziaria di agire senza limiti di tempo alla rettifica dell’imposta dovuta, darebbe vita ad una vera e propria disparità di trattamento, in danno ai residenti spagnoli che detengono beni o diritti all’estero; questi, infatti, rispetto agli altri contribuenti spagnoli che non posseggono attivi oltre confine, sono esposti a più rischi e oneri.
Ebbene, questa pronuncia, benché riferita ad una legge spagnola, apre a possibili riflessioni in ambito domestico e obbliga, conseguentemente, a chiedersi se i principi di diritto in essa contenuti possono essere applicati anche alla vigente disciplina italiana sul monitoraggio fiscale (quadro RW) ex artt. 4 e 5 del DL 167/90.
“La tematica riguardante l’eccessivo peso sanzionatorio“, fa notare l’avv. Longo, “è ben nota anche in Italia”.
Se da un lato, osserva Longo, “sono apprezzabili le misure introdotte dal legislatore nazionale, anche per adeguarsi alle richieste della Commissione europea, con la Legge Comunitaria n. 97 del 2013 in materia di monitoraggio fiscale che hanno portato alla riduzione delle sanzioni previste in caso di infrazioni correlate a beni detenuti all’estero, dall’altro, sono ancora molte le disposizioni che presentano conseguenze particolarmente sfavorevoli per i contribuenti italiani”.
Conseguenze, per certi versi, simili a quelle previste dalla legislazione spagnola e sulle quali sarebbe opportuno intervenire.
“Si pensi”, evidenzia l’avv. Longo, “al caso delle attività estere detenute nei Paesi ancora inclusi nella black list “italiana” – che in certi casi consentono comunque un adeguato scambio di informazioni. In questo contesto,oltre alle sanzioni certamente non trascurabili dal 6 al 30 per cento, vige una presunzione secondo cui le attività non dichiarate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi si considerano costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia. Inoltre, sempre in questi casi, i termini di decadenza per l’azione di accertamento da parte del fisco sono raddoppiati così come lo sono le sanzioni ordinariamente applicabili ai fini Irpef”.
Ebbene, conclude Longo, “proprio come rilevato dalla Corte di giustizia nel caso spagnolo UE, anche in questi casi relativi alla legislazione italiana in materia di monitoraggio fiscale si potrebbe discutere di un sistema di sanzioni (proprie e improprie) non del tutto in linea con il principio di proporzionalità e di libera circolazione dei capitali alla luce dei precetti elaborati dai giudici europei”.
Inoltre, “le valutazioni in tal senso, che interessano diversi contenziosi in corso, devono farsi anche tenendo conto che adempimenti particolarmente eccessivi risultano anacronistici in un’epoca ormai caratterizzata dagli scambi automatici e su richiesta di informazioni fiscali tra le amministrazioni di moltissimi Paesi nel mondo”.