Secondo SPIVA il 54% dei fondi attivi con benchmark S&P 500 sottoperformano l’indice sul periodo di un anno. La percentuale sale all’88% e al 95% considerando il periodo di 5 e 10 anni
Investire in etf con benchmark indici ponderati per la capitalizzazione è più rischioso che investire in etf con che tracciano indici equi-ponderati. Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, e Microsoft rappresentano il 22% del valore dello S&P 500
Il problema è aumentato negli ultimi anni come alcune società hanno raggiunto capitalizzazione monstre. I primi dieci titoli dell’S&P 500 capitalizzano oggi 13,7 mila miliardi di dollari
Passivo batte attivo
A fare il punto è un’analisi di Kiplinger, sito di informazione economico finanziaria. Rispetto ai fondi gestiti i fondi indicizzati offrono rendimenti medi migliori, in gran parte perché le loro spese sono inferiori. Per esempio, secondo il fund-tracker Morningstar, il rendimento a 10 anni di Vanguard S&P 500, etf con un rapporto di spesa di appena lo 0,03% che replica il principale indice azionario degli Stati Uniti, ha superato il rendimento dell’87% dei suoi 809 colleghi nella categoria large-cap blend. Lo S&P 500 ha battuto la maggioranza dei fondi attivi in ognuno degli ultimi 10 anni solari. Stando ai dati raccolti da SPIVA, il 54% dei fondi azionari statunitensi denominati in euro a gestione attiva ha sottoperformato l’S&P 500 nel periodo di un anno, percentuale che sale all’88% e al 95% sull’orizzonte temporale di cinque e dieci anni. Anche cambiando indice di riferimento – e dunque comparto azionario – la musica non cambia. Gli unici comparti in cui la gestione attiva ottiene ancora buoni risultati, almeno negli Stati Uniti, sono il mid-cap growth e lo small-cap growth, dove una grande maggioranza dei fondi a gestione attiva sovraperforma l’indice di riferimento, soprattutto nel breve periodo.
Una scommessa su poche aziende
Tuttavia è sbagliato pensare che investire in fondi indicizzati comporti meno rischi rispetto che ad investire in fondi gestiti. Molti indici azionari infatti – a partire dal S&P 500 – sono per costruzione maggiormente esposti ai titoli a maggiore capitalizzazione. Più grande sarà quest’ultima, maggiore sarà l’influenza di quel titola sulla performance dell’indice. Per esempio, Apple ha circa 60 volte l’impatto di General Mills sull’andamento dello S&P 500. Qualsiasi fondo indicizzato ponderato per la capitalizzazione risulta dunque essere una scommessa su poche grandi aziende. Ultimamente, come alcuni giganti sono diventati titani, questa scommessa è diventata ancora più estrema. Nel 2011 la market cap totale dei 10 titoli più grandi dell’S&P 500 era di 2,4 mila miliardi di dollari. Oggi è di 13,7 mila miliardi di dollari. La sola Apple ha una capitalizzazione tanto grande quanto tutti e dieci i più grandi titoli dell’S&P di dieci anni fa. Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, e Microsoft, rappresentano il 22% del valore dello S&P 500. Analogo discorso può essere fatto da un punto di vista settoriale. Al 31 luglio, l’IT e i servizi di comunicazione rappresentano il 39% della capitalizzazione dell’S&P 500. Al contrario, l’energia rappresenta solo il 2,6%.
Di soluzioni a questo problema ne esistono diverse. La più immediata è quella di investire in etf che hanno a benchmark indici equi-ponderati, anziché ponderati per la capitalizzazione, si ottiene un’effettiva diversificazione. Nell’S&P 500 Equal Weight, per esempio, ogni azione rappresenta circa lo 0,2% del patrimonio totale e il peso di IT e comunicazione viene ridimensionato al 20%.