Il lavoratori dipendenti avranno una pensione pubblica pari al 60% circa dell’ultima retribuzione, quelli autonomi fino al 40%. Ecco perché è necessario, fin da subito, pensare alla previdenza integrativa
I fondi pensione sono stati introdotti da una riforma del 1993. Tuttavia ad oggi solo un italiano su quattro ha aderito al secondo pilastro. Bisogna spingere sull’acceleratore per vivere una vecchiaia serena sul fronte economico
Il secondo pilastro, quello che riguarda i fondi pensione, fondamentale per la creazione di una rendita congrua, a quasi trent’anni della sua introduzione, è tuttavia ancora fragile. Secondo gli ultimi dati Ocse il nostro Paese si classifica al 14° posto su 36, per patrimonio dei fondi pensione. Siamo lontanissimi, per esempio, dal Gpfg (Government Pension Fund Global) della Norvegia che, da solo, ha un patrimonio di 850 miliardi di euro, ma “i nostri fondi pensione iniziano ad avere una buona capitalizzazione e a essere un mercato interessante con flussi annuali consistenti pari a circa un punto di Pil”, come scrive Itinerari Previdenziali.
In questa guida cerchiamo di fornire una panoramica dei fondi pensione, raccontando cosa sono, quali sono i principali, perché sono ancora così poco sfruttati, a chi conviene aderire e con quale quota e per quanto tempo. E ancora quando e a condizioni è possibile riscattare o chiedere di ricevere in anticipo parte o tutte le quote versate. Insomma, tutto quello che c’è da sapere per costruirsi con equilibrio e intelligenza una pensione integrativa.
Cosa sono i fondi pensione?
Il progressivo aumento della durata della vita media e il rallentamento della crescita economica, ha reso necessario negli anni ’90 rivedere anche in Italia le regole di determinazione delle pensioni, anche in funzione delle esigenze di sostenibilità dei conti pubblici. Le nuove regole di determinazione degli assegni pensionistici pubblici hanno avuto un effetto rilevante sulla vita delle persone. Riducendo nel tempo, le nuove pensioni in rapporto all’ultima retribuzione percepita (il “tasso di sostituzione”). Ergo, le nuove pensione saranno via via più basse rispetto a quelle percepite dagli attuali pensionati. È questa la ragione per cui la pensione pubblica da sola non basta più e diventa necessario aderire a un fondo pensione e/o altra forma di pensione integrativa.
Come faccio a sapere a quanto ammonterà la mia pensione
Quanto è necessario accantonare per la pensione? Innanzitutto bisogna sapere qual è il nostro tasso di sostituzione e dunque sapere quale sarà presumibilmente l’importo della pensione obbligatoria al termine dell’attività lavorativa: è un’informazione che si può ricavare sito dell’Inps, con il simulatore “La mia pensione”, accedendo alla propria area riservata.
Al termine di questo decennio, in ogni caso, le stime indicano che i lavoratori dipendenti potranno attendersi una pensione compresa tra il 60% ed il 70% della propria retribuzione, mentre i lavoratori autonomi tra il 40% ed il 50%. Qualora da questo calcolo risulti un assegno pensionistico insufficiente, si può e si deve pensare alla previdenza complementare. Secondo Covip, “è importante contribuire alla previdenza complementare fin dall’inizio della carriera lavorativa. Rimandare anche di pochi anni l’inizio dei versamenti significa ridurre l’ammontare della pensione complementare”. La previdenza complementare infatti si basa sul cosiddetto regime della contribuzione definita; pertanto, la somma che si accantona dipende dall’importo complessivamente versato, dalla durata del periodo di contribuzione, dai costi e dai (al netto della tassazione) ottenuti con l’investimento sui mercati finanziari di quanto versato.
I fondi pensione: le tipologie di previdenza complementare
In termini di composizione di portafoglio, la regola base resta la diversificazione: se l’Inps rivaluta i nostri contributi in base all’andamento dell’economia italiana, e dunque sostanzialmente del Pil, stagnante da almeno un ventennio, una forma di previdenza integrativa ha invece il vantaggio di investire sui mercati, europei e mondiali, diversificando le risorse sulle quali potremo fare affidamento all’epoca della pensione.
Esistono diversi strumenti di previdenza complementare. Innanzitutto i fondi pensione, che possono essere negoziali o aperti. Prendiamo a prestito la definizione di Covip: i fondi pensione negoziali “sono forme pensionistiche complementari istituite nell’ambito della contrattazione collettiva, nazionale o aziendale. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra rappresentanti di datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio”. Sostanzialmente i fondi negoziali sono le forme pensionistiche riservate ai lavoratori dipendenti appartenenti a specifiche categorie (metalmeccanici, chimici, medici e così via).
I fondi pensione aperti sono invece forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). I fondi pensione aperti possono raccogliere adesioni su base individuale e collettiva.
Infine, esiste la possibilità di aderire ai piani Individuali Pensionistici di tipo assicurativo (PIP), ovvero forme pensionistiche complementari istituite e prioritariamente collocate da consulenti del mondo assicurativo, finanziario e previdenziale.
I numeri italiani dell’adesione alla previdenza integrativa
Lo strumento più diffuso in Italia, con circa 3.420.000 aderenti, è rappresentato proprio dai Piani Individuali Pensionistici (PIP): un dato che suggerisce che oggi ci si occupa con maggiore probabilità di pensioni quando abbiamo di fronte un consulente che ci aiuta a dedicare la giusta attenzione al tema e a capire cosa fare e come. Seguono, in termini di preferenze, i Fondi chiusi (o negoziali), con circa 3.160.206 aderenti. A distanza si trovano infine i Fondi aperti, con circa 1.500.000 di aderenti.
A oggi sono dunque veramente pochi gli italiani che hanno aderito a forme di previdenza complementare. La relazione di Covip, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, a giugno 2020 indicava per il 2019 un patrimonio complessivo di 178 miliardi di euro, insufficienti per sopperire ai fabbisogni previdenziali di una popolazione sempre più vecchia.
“Prendiamo 178 miliardi, dividiamoli per il numero di iscritti ai fondi pensione, pari a 8.263.593, e otterremo 22.400 euro pro capite maturati a oggi. Troppi pochi per sopperire alle necessità individuali. L’iscritto tipo ad un fondo pensione è maschio (62%), ha 46 anni, versa 225 euro al mese e al termine preferisce ritirare un capitale invece di una rendita integrativa. Le proiezioni oggi indicano in 371 euro netti mensili la rendita integrativa che avrà chi oggi è già iscritto ad un fondo pensione. Siamo ancora all’anno zero della previdenza integrativa: ci sono 3 italiani su 4 che ne sono ancora, completamente, fuori”, a dirlo è Andrea Carbone, economista, Partner di Progetica, società indipendente di consulenza, specializzata nell’educazione e nella pianificazione finanziaria personale.
Requisiti per aderire a un fondo pensione
L’adesione a un fondo pensione negoziale o preesistente (quelli fondati prima della riforma del 1993) può avvenire presso la propria azienda, la sede del fondo pensione, quella dei sindacati che hanno sottoscritto l’accordo o dei patronati incaricati dal fondo. Tutti possono aderire alla previdenza complementare, su base volontaria, individualmente o secondo quanto previsto dagli accordi collettivi sindacali. Accordi che individuano il fondo pensione di riferimento al quale aderire e la misura minima della contribuzione.
In caso di prima occupazione, un lavoratore dipendente del settore privato, entro sei mesi dall’assunzione, deve decidere se destinare il Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) alla previdenza complementare (adesione esplicita) o lasciarlo in azienda. Se non si esprime alcuna scelta si viene iscritti alla forma pensionistica collettiva individuata dal contratto nazionale di lavoro o dall’accordo aziendale (cosiddetta adesione tacita). A quel punto si dovrà valutare se integrare le somme versate.
Si può scegliere anche di iscriversi a una forma pensionistica complementare diversa da quella prevista dal proprio contratto di lavoro, aderendo a un fondo pensione aperto o a un PIP, nelle sedi delle società (banche, imprese di assicurazione, Sim, Sgr) che li hanno istituiti oppure attraverso i soggetti incaricati dalle stesse società o anche via web. Si può aderire anche a diverse forme di previdenza integrativa.
Per i lavoratori dipendenti, la legge prevede l’integrazione da parte del datore di lavoro di una somma simile a quella conferita al fondo dal lavoratore (che ne aumenta alla fine l’assegno pensionistico risultante).
La previdenza complementare rappresenta infine un’opportunità di risparmio a cui lo Stato riconosce agevolazioni fiscali di cui altre forme di risparmio non beneficiano e che valgono anche nel caso di versamenti effettuati a favore di familiari fiscalmente a carico (lo vedremo in dettaglio più avanti).
Il Riscatto del fondo pensione
Durante il periodo di partecipazione al fondo, è possibile prelevare una parte del proprio risparmio previdenziale, a titolo di riscatto o di anticipazione. Si tratta ovviamente di una decisione che decurta la propria posizione individuale e, quindi, ciò di cui si potrà disporre al momento del pensionamento.
Le regole le ricorda Covip: “se si è iscritti alla previdenza complementare da più di 8 anni è possibile richiedere l’anticipazione, per un importo non superiore al 75% del capitale accumulato, per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa di abitazione (anche per i figli), ovvero per un importo massimo del 30% del capitale accumulato, per ulteriori esigenze”. Inoltre, per far fronte a spese sanitarie, conseguenti a gravissime condizioni (anche del coniuge o dei figli), è sempre possibile richiedere un importo massimo del 75% del capitale accumulato. Le richieste di anticipazione possono essere reiterate, anche con riferimento alla medesima causale, fino al raggiungimento del limite massimo erogabile. Invece è possibile riscattare tutta l’intera posizione individuale nel caso di invalidità permanente o inoccupazione superiore ai 48 mesi, dimissioni o licenziamento. O richiedere il riscatto di una parte (al massimo nella misura del 50%), in caso di inoccupazione da almeno 12 mesi (e non oltre 48) ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a mobilità, cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria.
L’anticipo del fondo pensione
Un’altra possibilità molto interessante è la possibilità di anticipare la prestazione pensionistica rispetto alla maturazione del diritto di pensione obbligatoria: l’erogazione della “rendita integrativa temporanea anticipata” (cosiddetta Rita) si può richiedere in anticipo fino al conseguimento dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia, al verificarsi di una serie di condizioni. Ovvero, che sia cessata l’attività lavorativa; che manchino non più di 5 anni rispetto all’età per la pensione di vecchiaia; che esista il requisito contributivo complessivo minimo di 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza; che si siano conseguiti almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
Oppure in un altro caso, se l’attività lavorativa è conclusa e ci si trovi in condizione di inoccupazione da oltre 24 mesi, pur mancando fino a 10 anni rispetto all’età per la pensione di vecchiaia. Anche in questo caso è necessario aver maturato almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
La fiscalità dei fondi pensione
Aderendo alla previdenza complementare si ottiene il beneficio di una tassazione favorevole: è possibile dedurre dal reddito complessivo i contributi versati fino al limite di 5.164,57 euro all’anno. L’importo include l’eventuale contributo del datore di lavoro e i versamenti effettuati a favore dei soggetti fiscalmente a carico, nonché i contributi versati per reintegrare eventuali anticipazioni già ottenute.
Inoltre, i rendimenti realizzati dalla forma pensionistica complementare sono tassati fino a un massimo del 20% (rispetto al 26% dell’aliquota ordinaria sugli utili da investimento). La tassazione può essere inferiore qualora gli investimenti della forma pensionistica complementare siano effettuati in titoli di Stato (la cui aliquota è del 12,5%). Anche la tassazione della pensione complementare o del capitale è molto favorevole, pari al 15%, che si riduce dello 0,30% all’anno per ogni anno di partecipazione alla previdenza complementare superiore al 15esimo, fino al limite massimo di riduzione del 6%. Con almeno 35 anni di contribuzione, quindi, l’imposta scende al 9%.
Le anticipazioni per spese sanitarie infine anch’esse sono tassate con la stessa aliquota agevolata che varia tra il 15% e il 9%. Lo stesso vale nei casi di riscatto per inoccupazione di durata non inferiore a 12 mesi, mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria/straordinaria e invalidità. Mentre a tutte le altre tipologie di anticipazione e riscatto viene applicata l’aliquota ordinaria del 23%.
Il Tfr versato alla previdenza complementare concorre a formare la pensione complementare e quindi è tassato con le stesse aliquote agevolate. Se lasciato in azienda invece si applica l’imposta sostitutiva del 17% e sulle somme liquidate la tassazione separata in base all’aliquota media Irpef a cui è soggetto il lavoratore.
Previdenza Integrativa: da dove incominciare?
Praticamente, quali sono i passaggi da compiere per passare all’azione e scegliere il proprio fondo pensione ideale? Ci facciamo aiutare da Andrea Carbone per definirli. “Per prima cosa è necessario provare a fare un salto nel futuro e immaginare noi stessi tra 10, 20, 30 o 40 anni, a seconda della nostra età – dice l’esperto – Provare a immaginare dove vorremo vivere, come e con chi. Traducendo quel sogno e quell’immagine in un valore economico. Quanto ci costerà vivere in quegli anni? Di quante risorse avremo bisogno? Il secondo passaggio è stimare l’ammontare della pensione pubblica che potremo ricevere e verificare se sia sufficiente o meno rispetto all’esigenza che abbiamo immaginato. Si può iniziare con la stima offerta dall’Inps con il servizio “La mia pensione futura”, oppure rivolgersi al proprio consulente di fiducia. Il terzo passaggio è quello di definire la strategia necessaria per creare la rendita integrativa necessaria per poter vivere secondo i propri desideri”. Anche qui, meglio rivolgersi ad un consulente, che ci possa aiutare a trovare le soluzioni più coerenti con le nostre esigenze.
Fondo pensione: come comporre il portafoglio
Chi si iscrive ad un fondo pensione dovrebbe in primo luogo scegliere con attenzione la linea di investimento nella quale versare i propri risparmi. E come modificarla nel tempo per ottenere la performance ottimale alla fine dell’orizzonte di lungo termine che è propria di ogni piano pensionistico. Una linea a basso rischio mette al riparo dalle turbolenze dei mercati, ma limita a una rendita più modesta di quella che, tendenzialmente e nel lungo periodo, potremo avere con un rischio medio o medio-elevato. Molti fondi pensione offrono percorsi automatici life-cycle, che riducono mano a mano l’esposizione al rischio all’avvicinarsi del traguardo pensionistico. Per quanto riguarda le strategie di asset allocation, senza entrare nei dettagli di ogni gestore – che comunque deve improntare il suo lavoro alla prudenza – il fondo pensione deve offrire soluzioni diversificate e coerenti per tutti. Nelle note informative sono sempre indicati i benchmark di riferimento e gli orizzonti temporali consigliati.
Integrare l’assegno di vecchiaia con il fondo pensione: rendita o capitale?
La risposta a questa domanda dipende essenzialmente dall’obiettivo che ci si pone. “Se abbiamo bisogno di una pensione di scorta, che si affianchi per sempre a quella pubblica, sceglieremo uno strumento in grado di erogarci una rendita: tipicamente un fondo pensione – dice Carbone – Si tratta di denari che potranno aiutarci a sostenere le spese essenziali, sulle quali vorremo poter contare sempre, a qualunque età. Se invece abbiamo bisogno di risorse che un giorno possono anche terminare, si può considerare una soluzione in capitale. Si tratta di denari utili per affrontare spese voluttuarie o secondarie, alle quali potremo rinunciare dopo una certa età”.
Fondi pensione: quale è il prodotto migliore?
Come detto, a monte bisognerebbe definire se si abbia necessità di una rendita o di un capitale. I fondi pensione, ricordiamolo, consentono, al momento della pensione, di scegliere se riscuotere tutte le risorse accantonate in forma di rendita, oppure se al 50% in rendita ed al 50% in capitale. Con la Rita, come abbiamo già visto, si può arrivare a riscuotere il 100% del capitale nei 5 anni precedenti il requisito di vecchiaia, a patto di smettere di lavorare. “Per un lavoratore c’è quindi la possibilità di poter scegliere tra rendita e capitale quando verrà raggiunta l’età della pensione, riflettendo sulle proprie condizioni di salute e gli obiettivi di vita personali e familiari – dice Carbone – Detto questo, il prodotto migliore non esiste. Al limite esiste il prodotto più coerente con i propri bisogni. Da un punto di vista finanziario, i fondi pensione sono come tutti gli altri strumenti di investimento: minori sono i costi e maggiori sono i rendimenti, maggiore sarà la rendita integrativa che è possibile ottenere. Ricordandosi di controllare le tabelle contenenti i coefficienti di trasformazione in rendita: oggi è un tema poco dibattuto e che non vede competizione tra le Compagnie, ma magari un giorno avverrà”.
Rendite da fondi pensione: qualche simulazione
Le tabelle – realizzate da Progetica – mostrano il versamento necessario per poter contare su una rendita vitalizia di 1.000 euro netti al mese. “Si va dai 477 euro al mese di un 30enne che investisse in una linea a rischio medio-alto, ai 1.722 euro al mese di un 50enne che investisse in una linea a basso rischio. Come sempre, in previdenza, il tempo ed i mercati sono dei grandi alleati: prima si inizia, migliori saranno i risultati – conclude Carbone – Più ci si fa aiutare dai mercati, soprattutto nel lungo periodo, maggiore sarà la rendita integrativa che si potrà ottenere. Viene indicata anche l’efficienza finanziaria dell’operazione: quanti euro si possono ottenere a vita media a fronte dell’investimento di un euro”. Un indicatore sempre maggiore di uno, utile in particolare per i casi dove per avere una rendita vitalizia di 1.000 euro è necessario investirne una cifra maggiore: naturalmente è la dimensione temporale a fare la differenza; si versa per un numero di anni inferiore a quelli per i quali la rendita verrà percepita. Anche in questo caso, prima si inizia, migliore è l’efficienza dell’operazione.