Un’indagine di Prudential Investment Management, condotta sui consulenti Usa, ha mostrato come il 62% degli asset dei loro clienti sia investito in fondi a gestione attiva, nonostante la maggioranza del mercato si sia ormai orientato sulle controparti passive
Per i professionisti intervistati, i fondi attivi sarebbero più convenienti in un contesto di mercato segnato da forte volatilità e nei segmenti come small cap ed emergenti
Questo campione, raggiunto fra gennaio e febbraio, dichiara di allocare il 62% degli asset dei propri clienti nei fondi attivi, contro il 34% di fondi a gestione passiva. Nei prossimi tre anni i consulenti non prevedono di alterare, se non in misura minima, questa distribuzione. Perché i consulenti finanziari non seguono il trend favorevole da anni all’investimento a gestione passiva?
Le risposte fornite dagli intervistati mostrano come incidano, almeno in parte, le condizioni attese dal mercato. Nel dettaglio, i fondi a gestione passiva sono preferiti alle controparti attive (77% contro 23%) nei periodi di bassa volatilità del mercato e, in misura minore, quando i tassi d’interesse muovono verso il basso (52% contro 48%). Nei due scenari opposti, alta volatilità e tassi crescenti, i fondi attivi sono preferiti da una larga maggioranza (87% e 82%) dei consulenti.
Anche se, come gruppo generale, la gestione attiva non ha le statistiche dalla sua parte, l’88% dei consulenti finanziari ritiene che ci siano gestori azionari attivi abili, in grado di sovraperformare costantemente i rispettivi indici di riferimento. Per il 78% del campione, infatti, una delle definizioni del successo, per un fondo attivo è generare ritorni superiori al netto dei costi. “La capacita di generare un alfa per i clienti, particolarmente durante i periodi di volatilità di mercato, è fondamentale”, ha commentato il presidente e ceo di Pgim, Stuart Parker.
Tutte le qualità attribuite alla gestione attiva avrebbero la possibilità di esprimersi al meglio soprattutto in alcuni segmenti del mercato ritenuti meno efficienti (ossia nei quali i prezzi degli asset spesso non riflettono i valori “corretti”). In particolare, il 57% dei consulenti ritiene che questa tipologia di fondi dia il meglio di sé nelle società a piccola capitalizzazione (in questo caso americane); seguono, nell’ordine, l’azionario dei mercati emergenti (49%) e, a distanza, le azioni growth americane ad alta capitalizzazione. Per i prossimi tre anni il 47% degli advisor ha previsto di incrementare la propria allocazione sul mercato azionario globale e il 41% probabilmente lo farà proprio nei mercati emergenti.