Lo scorso 13 dicembre il Dipartimento dell’Energia statunitense ha annunciato che, per la prima volta nella storia, un processo di fusione nucleare ha prodotto più energia di quanta ne sia stata impiegata per innescare la reazione. In termini scientifici, questo è stato presentato come “ una grande svolta che apre la strada ad avanzamenti nella difesa nazionale e per il futuro dell’energia pulita”. Per gli investitori svolte tecnologiche importanti si accompagnano spesso a ricadute operative interessanti, anche perché il numero di fondi che si dedicano apertamente alle energie pulite, inclusa quella nucleare sono numerosi e – per ovvi motivi – non hanno mai potuto considerare la fusione come un terreno di futura espansione. La notizia cambia in qualche modo l’agenda? Fosse anche solo per i lunghi tempi per i quali si prevede un possibile sviluppo commerciale, la risposta per adesso è “no, nella maniera più assoluta”, ha dichiarato in un’intervista a We Wealth il senior portfolio manager di Plenisfer Sgr, Marco Mencini .
Il significato di questa conquista
Prima di approfondire il discorso da un’eventuale logica d’investimento, è importante mettere in luce i fatti e le previsioni ufficiali. L’esperimento condotto con successo dal Lawrence Livermore National Laboratory , basato sulla fusione innescata dal laser, “ha superato la soglia di fusione fornendo 2,05 megajoule (MJ) di energia al bersaglio, ricavando 3,15 MJ di energia di fusione. L’energia ricavata è ancora lontana dal raggiungere una fusione “semplice ea buon mercato per dare energia a case e imprese”, anche se il Dipartimento dell’Energia ha dato la forte impressione di credere nel potenziale di questa tecnologia, che ha impiegato decenni per arrivare al risultato di questo annuncio. “Insieme agli investimenti del settore privato”, ha affermato la nota ufficiale, “c’è molto slancio per guidare un rapido progresso verso la commercializzazione della fusione”.
Le domande dei cronisti si sono chiaramente concentrate su quanto possa essersi velocizzata l’agenda dopo questo traguardo. La direttrice del Lawrence Livermore, Kimberly S. Budil , ha dichiarato nel corso della conferenza che le tempistiche per il raggiungimento dei vari passaggi che consentono un utilizzo su larga scala della fusione, “richiederanno decenni; non sei, non cinque, come eravamo soliti dire, ma ci si sta muovendo verso” un orizzonte temporale “ di quattro decenni ”. Il fatto di aver ottenuto una fusione che, per una singola capsula, è riuscito a dare una produzione netta di energia era “un passaggio necessario”: ora la sfida sarà rendere questo processo “più ripetibile e gestibile su larga scala”.
La fusione nucleare è estremamente diversa dall’energia nucleare attualmente utilizzata, che si basa sulla scissione degli atomi di uranio: nella fusione non serve questo materiale ed è, per questo, un processo che non produce scorie. L’idea che la fusione nucleare renderà presto obsoleta la fissione nucleare è, però, infondata secondo Mencini. Per quanto la fusione possa offrire energia pulita e priva di scorie il suo contributo nella sfida quantomai impellente del cambiamento climaticoè troppo spostato in avanti nel tempo, anche assumendo che manchino quattro decenni alla commercializzazione. “Il problema non è il successo dell’esperimento di laboratorio, ma, prima di tutto, il rapporto fra energia prodotta e consumata deve raggiungere le 10-15 volte”, un livello ancora lontano da quello raggiunto attualmente, ha precisato Mencini. Nell’ottica dell’investimento, “quando si sente parlare di orizzonti compresi fra i 40 ei 50 anni” per raggiungere l’obiettivo, “equivale a non sapere nulla” – impossibile dunque posizionarsi in termini di investimento su orizzonti così lunghi e incerti.
Nel settembre 2021 lo stesso Mencini aveva delineato, in approfondimento, un quadro fondamentalmente rialzista per l’uranio in virtù degli investimenti che grandi nazioni come la Cina, gli Usa e il Giappone stanno facendo sul nucleare “tradizionale”, che peraltro continua a evolvere in forme dall’impatto ambientale sempre più contenuto. Il quadro non cambia, nell’orizzonte dell’investimento, nemmeno dopo la conquista scientifica del Dipartimento dell’Energia Usa. Inoltre, ha sottolineato Mencini, la transizione verde “richiede una base di produzione energetica” costante che spesso le fonti rinnovabili come eolico e solare non riescono a garantire per via delle condizioni meteorologiche talvolta avverse. Questo sosterrà nei prossimi anni il nucleare da fissione, del resto incluso nella tassonomia degli investimenti sostenibili dell’Unione europea.
E’ dello stesso avviso anche HANetf, che fornisce una soluzione Etf tematica dedicata proprio al nucleare (ovviamente quello basato sulla fissione): “Si tratta sicuramente di una notizia interessantissima, anche se dal punto di vista degli investimenti possiamo con certezza affermare che non ci sono minacce all’orizzonte per i prodotti e l’offerta ad oggi disponibile”, ha affermato Annacarla Dellepiane, head of sales Italy di HANetf, “questo non solo perché parliamo delle prime fasi di sperimentazione di energia nucleare prodotta tramite fusione, ma anche perché i primi numeri sul tema che stanno iniziando a circolare parlano di almeno 20-30 anni prima di arrivare a produrre il quantitativo di energia di cui il mercato avrebbe bisogno oggi. Si tratta di tempi lunghissimi e senza alcuna certezza nel breve termine”.
Secondo i dati della Nuclear World Association aggiornati allo scorso ottobre sono 437 reattori nucleari attivi nel mondo con oltre 150 in costruzione, ha ricordato Dellepiane, “l’energia nucleare fornisce oggi circa il 10% dell’elettricità mondiale ei siti che la produrranno continueranno ad avere bisogno di uranio nel prossimo periodo, soprattutto nell’ottica di supporto alla transizione energetica. Una transizione che deve avvenire oggi e non tra 5 o 10 anni, per cui il nucleare può e deve giocare un ruolo fondamentale”.