In realtà, questa forma di creatività esiste già da anni e si inserisce del tutto nel contesto contemporaneo dominato dal world wide web, entrato stabilmente nelle nostre vite assieme a una serie di innovazioni tecnologiche che hanno spinto Luciano Floridi – professore ordinario di filosofia e etica dell’Informazione all’Università di Oxford – a definire la realtà attuale come una “società Onlife”, contemporaneamente attiva nel mondo virtuale e in quello fisico. Non è un caso che per spiegare questo concetto Floridi utilizzi la metafora delle mangrovie, piante che vivono in un ambiente salmastro laddove l’acqua salata del mare incontra quella dolce del fiume.
Tracciando una linea temporale che permette di seguire gli sviluppi di questo rapporto tra arte e new media lungo un percorso che – dalla rivoluzione del Concettuale negli anni Sessanta a oggi – è segnato dal comune denominatore della smaterializzazione dell’arte, diventa evidente quanto sia sbagliato ridurre questo discorso ai soli valori economici. È necessario iniziare a trattare il tema con un approccio unitamente etico, culturale e curatoriale che, al di là del medium utilizzato, sposti il focus sul contenuto, cioè la manifestazione d’arte.
Solo sulla base di queste premesse si può comprendere appieno perché la blockchain e i Non-Fungible Token rappresentino una vera e interessante novità in questo ambito. Con riferimento alla definizione di “cripto arte” data nel 2018 da Jason Bailey – founder di Artnome.com – gli Nfts non emergono solo come un asset, ma anche e soprattutto come un metodo per identificare l’arte sulla base di concetti che derivano da quelli applicati nel panorama artistico tradizionale. Infatti, Bailey sostiene che “per cripto arte si intendono opere d’arte digitale associate a token unici e dimostrabilmente rari che esistono su blockchain sottoforma di Nft. Il concetto si basa sull’idea di scarsità digitale che consente di acquistare, vendere e scambiare beni digitali come se fossero beni fisici. Questo sistema funziona perché, come i bitcoin e altre criptovalute, la cripto arte esiste in quantità limitata.”
Un’opera d’arte fisica è definita tale da un consenso generale che si crea intorno a essa da parte del mercato, della critica e della collettività. La storicizzazione del bene, la sua contendibilità e il desiderio di scambiarlo trovano validi punti di riferimento nei suoi riconosciuti valori di unicità, originalità, autenticità, proprietà e provenienza. All’interno del mondo cripto, invece, il consenso si appoggia sulla tecnologia della blockchain, basata su un “registro distribuito”, le cui informazioni sono raggruppate in “blocchi” concatenati in ordine cronologico e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. I modi attraverso cui i nodi riescono a raggiungere questo “distributed consensus” e aggiornare il set informativo sono chiamati “proof of work” e “proof of stake”. Nel primo caso gli utenti devono risolvere complessi problemi matematici e consumare molta energia per aggiungere blocchi alla blockchain, mentre nel secondo caso maggiore è la quantità (“stake”) di token posseduti da un utente, maggiore è la probabilità che non si stia violando il sistema.
Dunque, gli Nfts risultano validi contenitori di opere d’arte dal momento che si caratterizzano per la loro unicità – garantita dall’attribuzione di un determinato codice a una determinata opera e dall’assunzione di responsabilità dell’artista di non creare un altro token con la stessa opera. Inoltre, gli Nfts sono indivisibili, perché non è possibile possedere una porzione di Nft, e univoci, perché possiedono un ID univoco tale per cui la coppia indirizzo contatto-token ID è unica all’interno dell’ecosistema di riferimento. Queste caratteristiche concorrono a formare la scarsità digitale certificata del contenitore e dimostrano la fortuna di tali strumenti nel mondo dei collectibles, a loro volta caratterizzati da una scarsità che li rende oggetto di competizione sul mercato.
Il sistema degli Nfts, la cui normativa di riferimento è costituita dalla Legge sul Diritto d’Autore (Legge n. 633/1941) e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), si basa pertanto su autocertificazioni che garantiscono non solo la proprietà e la provenienza tramite transazioni registrate, ma anche l’autenticità e l’originalità dell’opera attraverso “Terms of Service” tali da garantire ai contenuti artistici originali di godere di tutela autoriale.
È su questi presupposti che si basa la nuova forma di museologia che si sta sviluppando tanto con progetti promossi da musei tradizionali come Uffizi, British Museum e Hermitage – che puntano a incrementare le loro entrate grazie alla vendita di un numero limitato di Nfts riproducenti opere delle loro collezioni permanenti – quanto con la nascita di nuove realtà che promuovono l’arte digitale, tra cui i milanesi MEET – Digital Culture Center, inaugurato a ottobre 2020 e diretto da Maria Grazia Mattei, e DART, primo museo di arte dinamica al mondo allestito presso il Palazzo della Permanente. Si delinea così una nuova meta dell’arte “concettuale” che, partendo da manifestazioni puramente intellettuali quali lo spartito 4’33” (1952) di John Cage, che trova il pianista David Tudor immobile davanti a uno spartito privo di note, e Comedian (2019) di Maurizio Cattelan (la celebre banana attaccata al muro con lo scotch dal valore di 150.000 dollari) fino a giungere agli Nfts, continua a mettere in discussione il tradizionale concetto di opera d’arte e quello della sua proprietà.