I criteri dell’indice Esg consentono di ricondurre a misurazione l’impegno ambientale, sociale e di governance di un’impresa. In particolare, i criteri collegati alla lettera “E” (environmental) valutano come un ente si comporta nei confronti dell’ambiente nel quale è collocato e quali decisioni adotta nella scelta della supply chain o quali soggetti finanzia. I criteri collegati alla lettera “S” (social) sono relativi all’impatto sociale ed esaminano la relazione con il territorio, le persone, i dipendenti, i fornitori, i clienti e in generale con le comunità con cui l’ente è in relazione. La “G” (governance), infine, riguarda i temi di una gestione aziendale ispirata a buone pratiche e a principi etici, retribuzione dei dirigenti, rispetto dei diritti degli azionisti, trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, rispetto delle minoranze
Due. In questo momento storico tra i tre criteri Ambiente, Sociale e Governance, continua ad essere prevalente la dimensione ambientale e le tematiche di climate change rispetto alle dimensioni di governance o di sociale. Quest’ultima poi è ancora percepita prevalentemente come salute e sicurezza sul lavoro.
Tre. Ma proviamo a cambiare il punto di vista e introduciamo il concetto di responsabilità culturale.
Credo fermamente che vada teorizzata – e istituzionalmente apprezzata – la funzione sociale dell’arte, e in genere, della cultura. Si ipotizzi infatti che arte e cultura siano una componente sociale dell’informativa non finanziaria con una funzione sociale degna di attenzione, di valorizzazione e di metrica, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi più articolati rispetto alla sola generazione di valore economico.
Quattro. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile (che come noto è il programma sottoscritto il 25 settembre 2015 dall’Assemblea generale dell’Onu, ovvero dai governi dei 193 paesi membri) ha posto gli impegni per le persone, per la prosperità e per la salvaguardia del pianeta e si concretizza nei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (o sustainable development goals, Sdgs), che compongono un programma di azioni e interventi declinati in 169 target
Cinque. Sempre nel 2015, la L. n. 208/2015 (“Legge di Stabilità 2016”), ai commi 376-384 dell’art. 1, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano, lo status giuridico di società benefit, con riferimento a quegli enti che “nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune, operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente, nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse”.
Non deve sfuggire il significato più profondo di quanto anticipato. La società benefit, unitamente allo scopo, tipico di un ente commerciale, di generare profitti, si pone l’obiettivo (declinato statutariamente ma poi soggetto a verificare nella sua realizzazione concreta) di creare un “beneficio comune operando in modo responsabile”. Qualche riflessione si potrebbe pure porre in termini di “sussidiarietà” dell’intervento privato nella realizzazione di obiettivi tipicamente pubblici. Sembra ancora che si chieda al privato di intervenire là dove il pubblico possa avere difficoltà.
I portatori di interesse (gli stakeholders) sono soggetti a vario titolo coinvolti nella, e dalla, attività d’impresa, come lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e, più in generale, società civile. Gli obiettivi devono essere indicati nello statuto e sono oggetto di vigilanza da parte dell’Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato (A.G.C.M.). Questa scelta, seppure a prima vista curiosa, si può comprendere con l’idea che il mercato degli investimenti non deve essere alterato o manipolato da dichiarazioni eventualmente sterili di obiettivi benefici che poi restino carta bianca (si pensi al greenwash).
È prevista (a proposito di governance) in capo all’ente l’individuazione al proprio interno di un soggetto – anche coincidente con l’organo amministrativo o con uno dei suoi componenti – cui sono affidati compiti e responsabilità per il perseguimento dello scopo sociale dell’organizzazione. L’inosservanza di tale compito da parte del responsabile può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori (ex art. 2392 c.c. e seguenti).
L’organo di controllo interno cui è affidato il compito di verificare la correttezza della rendicontazione è il collegio sindacale, se presente, oppure, in sua mancanza, lo stesso organo amministrativo con il supporto del responsabile individuato (va prestata attenzione alla eventuale coincidenza tra controllore e controllato).
Da ultimo, al fine di garantire trasparenza sul perseguimento del “beneficio comune”, la società benefit redige una relazione annuale, che deve essere allegata al bilancio societario e pubblicata sul sito internet.
Sette. Il perseguimento del “beneficio comune” previsto dalla normativa sulle società benefit si coniuga perfettamente agli obiettivi di sviluppo sostenibile (c.d. sustainable development goals, anche “Sdgs”). Ad esempio, la società benefit potrebbe svolgere attività di valorizzazione di un patrimonio artistico o di una collezione pubblica o privata (si pensi ad una società commerciale o industriale che possieda una propria collezione corporate o un museo d’impresa), anche mediante la gestione in forma commerciale di quest’ultima, perseguendo il beneficio comune attraverso, ad esempio, la messa a disposizione del pubblico (con contratti di prestito d’opera) della collezione in occasione di eventi culturali.
Otto. Lo status giuridico di società benefit, tuttavia, non è ancora il punto finale di questa valorizzazione che è invece la B-Corp. La B-Corp è qualcosa di diverso e più evoluto lungo la linea immaginaria della responsabilità culturale e sociale. Con B-Corp si intende la società (che deve essere comunque una benefit) che possiede una certificazione di eccellenza ad adesione volontaria rilasciata da B-Lab, ente non-profit che opera nel rispetto dei principi di indipendenza e trasparenza: per ottenerla, le organizzazioni devono dimostrare di dare esecuzione al programma statutario con progetti di sostenibilità ambientale e sociale, trasparenza e accountability documentando il proprio impegno nei confronti degli stakeholder. E io direi, a questo punto, dando evidenza della propria partecipazione all’obbiettivo di responsabilità culturale.
Nove. In ultima analisi dunque, la conformità degli enti commerciali a obiettivi di rispetto ambientale, di iniziative a impatto sociale e culturali, di adeguatezza e idoneità del governo societario privato o pubblico come rappresentati dai 17 Sdgs delle Nazioni Unite diventa elemento di valore reputazionale per l’azienda, di valorizzazione delle competenze umane e di incremento di valutazione aziendale: da tutto ciò, in un circolo virtuoso e in una economica circolare, dovrebbero dipendere gli investimenti che l’ente riceve, i risultati di business dell’impresa e i benefici che la stessa distribuisce. La conformità delle aziende a obiettivi Esg+ dovrebbe diventare quel terreno fertile su cui fissare obiettivi di competitività anche in un’ottica di geopolitica e di valore di Paese.
Dieci. Se potessi scegliere uno slogan a chiusura di queste brevi riflessioni, dire che “la cultura restituisca cultura”. In fondo noi tutti abbiamo un debito di riconoscenza verso il bello che abbiamo appreso, anche solo per osmosi, nella culla della civiltà classica.