Per Michele Quinto, la priorità è puntare su ricerca, formazione dei banker e sviluppo di partnership strategiche con le reti di consulenza finanziaria, ben oltre il perimetro dei fondi.
Così, dice il country head di Franklin Templeton, nascono nuovi laboratori di idee “a quattro mani”. E progetti, molto concreti, sui digital asset e non solo”.
Back to basics. “Oggi bisogna tornare ai fondamentali, alle “cose semplici”, come le infrastrutture. E il reddito fisso, dov’è finalmente tornato valore”, dice Michele Quinto, country head Italy di Franklin Templeton, colosso globale da oltre 1.400 miliardi di asset in gestione (dato al 31 gennaio 2023).
Lo sguardo, però, è già rivolto al futuro di un’industria che non può restare uguale a se stessa. E deve ricostruire su nuove basi la relazione tra produzione e distribuzione. A beneficio dei clienti finali. “L’asset manager del futuro deve andare oltre la fabbrica prodotti. È quello che noi chiamiamo value beyond investing”.
Il nuovo ruolo degli asset manager
Oltre ai fondi c’è di più. Cosa?
La relazione con il distributore può essere interpretata su tre livelli: al livello “base”, ci poniamo come semplice fornitore di capacità d’investimento, che restano al cuore del nostro modello. Ma se vogliamo fare la differenza, dobbiamo andare oltre. A un livello superiore, per esempio, possiamo creare valore attraverso una serie di servizi dedicati ai distributori. Il punto di arrivo, è la costruzione di una partnership strategica con i nostri clienti.
Cosa significa?
Diventare un advisor del distributore, un vero e proprio consulente che lo aiuta a prendere decisioni strategiche.
Un esempio concreto?
Possiamo mettere sul tavolo i casi di successo – a livello di prodotti e di nuove soluzioni che hanno funzionato meglio a livello internazionale e calarle nella realtà del mercato domestico. Pensiamo, ad esempio, allo sviluppo di nuovi modelli distributivi. Non si tratta di fare un banale “copy & paste”, ma di disegnare insieme un progetto industriale dedicato, attingendo alle best practice maturate su scala globale.
Come lo fate?
Tramite il nostro FT Institute, un think tank che sviluppa ricerche, analisi e idee su tematiche strategiche per il business dei nostri clienti. Siamo organizzati per aree di ricerca allo scopo di sviluppare approfondimenti specifici e applicazioni pratiche. Molti progetti hanno al centro il tema dell’innovazione. È inevitabile per una società che, come noi, ha il proprio quartier generale nella Silicon Valley.
I progetti di Franklin Templeton sui Digital Asset
In quali aree state lavorando, per esempio?
Pensiamo alla blockchain. Una tecnologia che è destinata a rivoluzionare l’industria dei servizi finanziari, attraverso un processo di razionalizzazione della catena del valore, ed è stata fin qui offuscata dalle sorti altalenanti del Bitcoin e delle altre criptovalute. Sulla Blockchain poggia il futuro dei digital asset. A livello globale, abbiamo già realizzato alcune sperimentazioni in tema di tokenizzazione (processo di frazionamento e digitalizzazione di asset ndr), con un focus sui fondi d’investimento. Attraverso un processo analogo, tra non molto, sarà possibile avere portafogli digitali che investono in musica, real estate, diritti di proprietà su opere d’arte.
La tokenizzazione, però, sembra un tema ancora lontano per gli investitori italiani. La partnership tra asset manager e distributore ha già delle ricadute più concrete?
Assolutamente sì: già oggi possiamo disegnare nuovi prodotti a quattro mani con i nostri partner, aprendo un vero e proprio laboratorio di idee. In questo momento, per esempio, stiamo lavorando su una polizza garantita, che sfrutta l’intelligenza artificiale per costruire i portafogli sottostanti. L’obiettivo è la messa a terra con un operatore domestico di un prodotto che è già un caso di successo negli Stati Uniti e non è ancora arrivato in Europa.
In che modo un asset manager può fare innovazione, nel cuore della Silicon Valley?
Noi siamo lì da 50 anni. Il gruppo sta investendo da decenni in tutto il ciclo di vita delle aziende innovative, non solo in ambito fintech. Negli Usa, abbiamo un incubatore che è focalizzato sulla fase iniziale di sviluppo delle startup (early stage). Poi, quando le aziende crescono, vengono intercettate dai nostri fondi di venture capital e private equity, che finanziano la fase di sviluppo successiva, fino a quando, se il business è più maturo, entrano nei portafogli degli investitori privati. Abbiamo un database straordinario, creato da migliaia di due diligence, che ci pone sul fronte più avanzato dell’innovazione in aree come la customer experience, la cybersecurity, le piattaforme di advisory. Questo ci consente prima di tutto di migliorare i nostri stessi prodotti e processi, ma anche di promuovere l’adozione di nuove soluzioni innovative da parte dei nostri partner, che possono trarre ispirazione, entrare nel capitale, diventare a loro volta clienti di queste realtà. Abbiamo lo stesso modello in Asia e stiamo valutando anche l’opzione Europa.
Qual è l’obiettivo?
Andare oltre la gestione degli asset finanziari e diventare veri e propri consulenti per l’innovazione. Noi puntiamo a sviluppare vere e proprie partnership strategiche, all’interno delle quali possiamo mettere a disposizione dei clienti tutte le nostre competenze: l’investing, sia attivo che passivo, la thought leadership, attraverso FT Institute, l’area innovation & fintech. Senza dimenticare la formazione professionale, che eroghiamo tramite FT Academy.
Le iniziative di Franklin Templeton per la formazione dei consulenti finanziari
I consulenti finanziari hanno ancora bisogno di education su mercati?
Riesci a fare la differenza soprattutto quando ti sposti dai contenuti più tradizionali, come le dinamiche di mercato e i prodotti, alla business practice: quando cioè, offri spunti concreti per migliorare il lavoro sul campo dei banker, per innovare il loro modello di business, rendere più efficaci le modalità di comunicazione, di relazione con i clienti.
Quali sono le aree più interessanti su cui state lavorando?
Tra i moduli formativi che hanno catturato maggiore interesse, ci sono, ad esempio, quelli che mettono a fuoco specifici target, come i millennial e le donne over50: si parte da studi americani sulle curve demografiche e si arriva ai bisogni di questi segmenti di clientela, fino agli stili di comunicazione più efficaci per valorizzare la relazione. I giovani, in particolare, saranno destinatari di un enorme trasferimento di ricchezza nei prossimi 10 o 20 anni. Noi prepariamo i consulenti a lavorare in anticipo sul passaggio generazionale, a sintonizzarsi sulla forma mentis tipica di queste generazioni in tema di gestione del risparmio, che è radicalmente diversa rispetto a quella dei loro padri, con i quali i banker sono abituati a dialogare. Poi abbiamo una serie di altri moduli, come quello sul personal branding.
Qual è il punto di forza dei vostri corsi?
Possiamo contare sull’esperienza di molti anni maturata negli Stati Uniti. Fa la differenza in termini di qualità dei contenuti, basti dire che ogni anno il nostro team sviluppa e fornisce formazione specialistica a più di 30mila studenti in oltre 30 Paesi.
Le nuove strategie di Franklin Templeton sui fondi
Il vostro business tradizionale, la fabbrica di prodotti d’investimento, come cambia?
Nella componente liquida, c’è un ritorno ai fondamentali. Lavoriamo sulla semplificazione dei prodotti e oggi siano focalizzati su due temi in particolare: le infrastrutture, che si prestano bene a interpretare l’attuale fase di mercato, anche per la protezione che offrono di fronte all’aumento dell’inflazione, e il reddito fisso, dov’è finalmente tornato valore.
E sulla parte illiquida?
Stiamo crescendo rapidamente: nei private market gestiamo 250 miliardi di dollari, tra private equity, debt e real estate. La sfida più ambiziosa, qui, è declinare queste competenze nel mercato retail. Gli eltif sono probabilmente lo strumento più veloce e flessibile per rendere più accessibili le strategie specializzate sul capitale privato. Stiamo per lanciare un nuovo fondo con un interessante profilo di responsabilità e impatto.
Il ritorno di rendimenti più interessanti sui bond non ha offuscato l’interesse per i private market?
Investire nei mercati privati è strategico per un motivo molto semplice. Oggi il momento della quotazione si è spostato molto a valle, nel ciclo di vita dell’azienda, mediamente dopo 10 anni dalla nascita. Significa che la creazione di valore avviene in larga parte prima dell’Ipo. Se si vuole partecipare alla creazione di valore, bisogna entrare prima. Inoltre, le aziende non quotate oggi sono 20 volte più numerose rispetto a 10 anni fa. Ignorare i mercati privati significa precludersi la possibilità di investire in una fetta sempre più importante di opportunità. Se il mercato cambia, anche chi investe deve cambiare approccio.
Chi è Michele Quinto
Da ottobre del 2019, Michele Quinto è alla guida dello sviluppo del business globale in Italia. È entrato in Franklin Templeton nel maggio 2014 in qualità di responsabile dello sviluppo delle attività strategiche e della distribuzione di soluzioni di gestione degli investimenti rivolte al canale retail in Italia, successivamente ha ricoperto il ruolo di co-branch manager e retail business director per l’Italia. In precedenza ha maturato una significativa esperienza nell’industria del risparmio, lavorando per asset manager nazionali e internazionali, tra cui Eptafund sgr, Sanpaolo asset management sgr, Fidelity International Limited e Russell Investments