La nostra società invecchia e il tempo in questo contesto diventa risorsa. Ma il tempo è uno strumento versatile, che può essere suonato da una mano amica e produrre un’armonia melodiosa o da una mano ostile e generare ansia. L’inflazione oggi strimpella il nostro tempo ricavandone note poco rassicuranti, specie in ottica di longevità.
Un recente articolo di Claudio Grossi per Osservatorio senior invita a leggere l’effetto dell’inflazione non tanto dal punto di vista matematico ma da quello degli obiettivi di vita. Se sappiamo tutti che 1.000 euro in banca al tasso inflattivo del 4,8% dopo 12 mesi varranno 952, non è detto che tutti comprendiamo come ciò potrebbe ridurre le nostre aspettative. E fa l’esempio piuttosto comune di un nonno che abbia messo da parte quanto servirà al nipote per conseguire una laurea triennale. Al ritmo di un 4,8% di inflazione annua, tra 10 anni il nipote potrà pagarsi 21 mesi di retta universitaria sui 36 del suo corso. Adesso l’immagine è più chiara e più dolorosa.
La vecchia legge del ‘72, applicata al tasso ipotizzato da Grossi del 4,8% d’inflazione, dice che 300.000 euro tra 15 anni varranno la metà, ma fa più effetto dire che il trilocale in zona semicentrali che avevi idea di comprare si ridurrà a un bilocale in una zona periferica. Il problema di fondo è che ci fissiamo sul valore nominale dei nostri risparmi, senza riflettere che in clima inflattivo quello che conta davvero è il valore reale, il reale potere di acquisto.
La provocazione arriva, a questo proposito, da Enrico Cervellati, docente di corporate finance: “Se la rendicontazione bancaria mostrasse il valore reale e non quello nominale, forse gli italiani investirebbero di più e terrebbero meno liquidità ferma a farsi sbriciolare al ritmo attuale del 6%-7% di inflazione”. Tuttavia, l’inflazione non riserva a tutti gli stessi rischi.
“L’effetto dell’inflazione è diverso a seconda di chi la guarda”, commenta Andrea Carbone, fondatore di Smileconomy. “In termini di flussi, paradossalmente l’effetto è meno grave per un pensionato perché, seppur in maniera imperfetta e parziale, la pensione viene adeguata all’inflazione. Il lavoratore invece non ha garanzie di recuperare il potere di acquisto salvo il caso di alcuni contratti collettivi”.
In termini di capitale invece è proprio il pensionato a vedere l’inflazione erodere i risparmi sui quali contava per sostenere il proprio reddito pensionistico, specie se la gran parte di esso è in forma liquida. È già errore grossolano molto comune sottostimare la reale durata della vita, con il rischio di accantonare risorse per un periodo di pensionamento di 20 anni e trovarsi invece a viverne altri 25; se poi ci si mette anche l’inflazione il risultato potrebbe essere catastrofico.
“Il dubbio di fondo è se i mercati riusciranno a battere l’inflazione o no”, continua Carbone. “Se si riveleranno stare al di sotto del tasso di inflazione allora non solo la liquidità ma anche i risparmi investiti saranno sottoposti all’effetto erosione dell’inflazione”.
Persino i titoli di stato o le obbligazioni.
“Tutto il patrimonio monetario nei prossimi 3 anni perderà circa un 10% di potere d’acquisto”, rincara Francesco Priore, decano della consulenza finanziaria. “Se succederà, come ci si aspetta, che i tassi crescano, le obbligazioni e i titoli di Stato emessi prima dell’ondata inflazionistica diminuiranno di valore: chi detiene obbligazioni emesse quando i tassi erano inferiori, o attende la scadenza naturale o, volendo disfarsene, dovrà svenderle. Ammettiamo, esagerando un po’ i numeri per amore di efficacia, che io abbia un titolo al 5%. A causa dell’inflazione lo Stato deve emettere i nuovi titoli al 10%. Per restare sul mercato e vendere i miei titoli dovrò proporli al 50% del loro valore nominale, se la scadenza del titolo posseduto è pari alla durata della nuova emissione, ovviamente a prezzi sempre crescenti in funzione della minore distanza dalla scadenza, alla pari solo al rimborso. Nel frattempo l’inflazione ne ha falcidiato il potere d’acquisto”.
In una situazione in cui la volatilità sui mercati azionari è alta, obbligazioni e titoli di Stato non rendono e in più si svalutano, la liquidità evapora, che tipo di scelte fa chi guarda avanti verso una vecchiaia sempre più lunga?
Per esempio, cambiano i fattori di convenienza nel tenere il Tfr in azienda o metterlo in un fondo pensione? “Questa è una delle domande centrali, almeno per i risparmiatori più accorti,” osserva ancora Carbone.
Quanto devono rendere i mercati per battere il Tfr mantenuto in azienda?
Il Tfr si rivaluta del 75% dell’inflazione più un punto e mezzo percentuale. Purtroppo nessuno ha la sfera di cristallo per capire come andranno le cose in un clima di così tanta incertezza. L’unica ricetta praticabile è ancora quella della differenziazione e di un giusto equilibrio tra investimenti ragionevoli e settori emergenti, proprio magari nell’ambito dei mercati generati dalla stessa silver economy (healthcare, senior living, device indossabili per il monitoraggio delle funzioni vitali) entro il limite del rischio che ciascuno si può prendere. E considerando che oggi a 60 anni si possono ancora avere diverse linee di investimento su diversi orizzonti temporali: una a breve termine e una a lungo termine per la vecchiaia di longevità”.
Stallo obbligazionario ed erosione del patrimonio accumulato. Cosa resta? L’azionario e i beni rifugio. “Chi è già investito nell’azionario, farebbe meglio a tenere la posizione”, continua Priore. “Se si ha un buon gestore l’elevata volatilità può essere persino sfruttata per fare un trading produttivo, molto più che con un mercato in crescita costante. I beni rifugio sono da escludersi perché fuori stagione: in clima di guerra oro e brillanti sono troppo cari. Resta il mercato immobiliare, come ingrediente di differenziazione, nei settori che si prevedono in sviluppo, come logistica e un certo tipo di residenziale, miniappartamenti da affittare agli studenti nelle città universitarie e build-to-rent”.
(Articolo tratto dal magazine di maggio 2022)