L’andamento divergente dei numeri macroeconomici e delle performance azionarie induce il sospetto che i mercati stiano sottostimando l’impatto della recessione
Confrontando l’andamento dei profitti nel primo trimestre con lo stesso periodo del 1995, un anno prima che Alan Greenspan pronunciasse il discorso sulla “esuberanza irrazionale” di Wall Street, si scopre che le quotazioni di inizio giugno sono superiori di circa il 40% rispetto a quanto sarebbe giustificato dai fondamentali
Può darsi che le misure di stimolo fiscale e monetario, la cui portata è senza precedenti, possano controb lanciare le incertezze sulla traiettoria dell’economia globale. Ma non bisogna sottovalutare i rischi
Su queste colonne, il settembre scorso, eravamo andati a confrontare gli andamenti degli utili societari in America con le quotazioni di Wall Street. E avevamo concluso che la dinamica della Borsa aveva sopravanzato la dinamica degli utili: i prezzi delle azioni, insomma, erano sopravalutati. Ora che la più grave crisi dagli anni ‘30 sta attanagliando l’economia mondiale in generale e gli Stati Uniti in particolare, è utile rifare quel confronto.
Questa discrasia fra Borse ed economia può essere spiegata solo con la convinzione, presso gli investitori, che le restrizioni messe in opera abbiano avuto effetto, e gli allentamenti in corso un po’ dappertutto non porteranno a una seconda ondata di infezioni. Se a questo si aggiunge la ciliegina di un vaccino prossimo venturo, la torta dell’ottimismo è servita. In effetti, ci possono essere delle tenui evidenze di una mancata ricaduta dopo gli allentamenti.
Già dall’11 maggio nella vicina Svizzera molte restrizioni sono cadute, e ad oggi non ci sono stati nuovi casi, o, per meglio dire, non ci sono stati nuovi casi rispetto a quei pochi che si registrano da tempo. Tuttavia, tenuto conto del periodo di incubazione, potrebbe essere presto per cantare vittoria. Ma, anche se la Svizzera dovesse nei prossimi giorni confermare le buone notizie, non tutti sono ‘svizzeri’. In un altro Paese ‘serio’, la Svezia, le cose stanno andando diversamente. Nel Pae se scandinavo le restrizioni sono sempre state all’acqua di rose, e colà la dinamica del virus non ha rallentato. In Italia i casi di Covid-19 stanno scemando rapidamente, ma non nel resto del mondo. C’è ancora molto da fare per domare il virus, e la fiducia delle Borse appare mal riposta. Negli Stati Uniti un altro indicatore dà risposte preoccupanti. È legittimo correlare, andando indietro nel tempo, l’andamento dei profitti societari e i prezzi di Borsa. I due fatti e i due concetti dovrebbero essere quasi sinonimi, dato che in fondo i prezzi di Borsa non sono altro che una rappresentazione stenografica dei profitti delle imprese, scontati di qui all’eternità. Profitti futuri, è vero, che tuttavia, in un mondo senza palle di cristallo, vengono approssimati da quelli presenti. Ma è legittimo correlare i profitti societari (al netto delle imposte), che appartengono all’universo delle società, con gli indici di Borsa, che considerano solo gli indici delle società quotate (che sono 30 per il Dow Jones e 506 per lo S&P500)? Non interamente, ma ricorrendo al Wilshire 5000 (che, malgrado il nome, include 6700 e rotti società americane) si può considerare quell’indice come sufficientemente rappresentativo dell’universo.
A fine maggio sono stati comunicati dal Department of Commerce gli utili del 1° trimestre (che diminuiscono di circa 100 miliardi di dollari), un trimestre già di crisi. E il secondo trimestre, i cui profitti saranno comunicati a fine luglio, sarà molto peggiore. Nel primo quarto dell’anno i profitti (al netto delle imposte) considerati sono quelli di contabilità nazionale, nella definizione che include anche gli utili fatti all’estero da società americane (ed è da ricordare che questi utili sono anche una cospicua fetta dei profitti complessivi delle società quotate). E questi profitti comprendono due aggiustamenti necessari per riportare ammortamenti e variazione di scorte dal costo storico al costo di sostituzione. Ebbene, se facciamo 100, sia per i profitti netti che per i prezzi di Borsa, il terzo trimestre del 1995 (un anno prima che Alan Greenspan pronunciasse, il 5 dicembre 1996, il famoso discorso sulla “esuberanza irrazionale” della Borsa americana) i livelli delle quotazioni a inizio giugno sono nettamente superiori (di circa il 40%) a quanto sarebbe giustificato dall’andamento dei profitti.
Ma forse “questa volta sarà diverso”: l’eterno ritornello che ritorna ogni volta che si vuole ignorare un’antipatica evidenza. Forse i crolli e le incertezze iniettati nell’economia internazionale dalla virulenta stagione del covid-19 saranno compensati da una stagione di investimenti infrastrutturali, dalle massicce azioni di sostegno di governi e banche centrali, dai tassi a lunga negativi… Forse talvolta la storia prende vie diverse da quelle segnate dall’esperienza del passato. Auguri.