Il 20 aprile 2023 si ricorderà per la firma di una dichiarazione storica – dal punto di vista tributario – tra la consigliera federale svizzera, Karin Keller-Sutter, e il ministro dell’Economia e delle finanze italiano, Giancarlo Giorgetti.
Con la firma dell’accordo di massima, infatti, l’Italia si è impegnata ad avviare la fuoriuscita della Svizzera dalla cosiddetta “black list” (stilata dal nostro Paese più di un ventennio addietro, nell’ormai lontano 1999), di cui a un decreto del ministro delle Finanze ove si legge che tra i Paesi considerati fiscalmente privilegiati ai fini dell’applicazione dell’art. 2, comma 2-bis del Tuir c’è la Confederazione Svizzera.
Le ragioni della rilevanza della dichiarazione congiunta
L’assoluta rilevanza della dichiarazione congiunta sottoscritta dai due Paesi discende da almeno due ordini di ragioni:
- in primo luogo, dalle valutazioni “di sistema” che hanno condotto l’Italia ad assumere l’impegno di escludere la Svizzera dall’elenco dei Paesi “black list”;
- in secondo luogo, dalle ripercussioni d’ordine pratico e operativo che, sotto il profilo strettamente tributario, faranno seguito alla fuoriscita Svizzera dalla “lista nera” italiana.
Procediamo con ordine
Con riferimento al primo punto, occorre ricordare che l’inserimento di un determinato Paese all’interno della black list italiana – che, appunto, risale al 1999 e comprende ancora, oggi, cinquantasei Paesi – presuppone l’esistenza di taluni presupposti individuati, già tempo addietro, dall’Ocse (Harmful tax competition – an emerging global issue, 1998) e condivisi a livello comunitario, ovvero:
- la sostanziale assenza di imposte sui redditi delle imprese costituite nei propri territori;
- l’assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere un’effettiva attività d’impresa nei relativi territori;
- la carente trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi fiscali traducentesi in un assottigliamento dei livelli d’imposizione fiscale;
- l’assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati volto a garantire sia il corretto e pieno esercizio della potestà impositiva di questi ultimi, sia la lotta efficace alla evasione ed elusione fiscale internazionale.
Cosa vuol direi l’esclusione della Svizzera dalla lista nera italiana?
Se è vero che quelli appena individuati rappresentano i presupposti essenziali affinché uno Stato possa essere considerato, in linea generale, potenzialmente rientrante nella black list, il fatto che l’Italia abbia assunto l’impegno di eliminare la Svizzera dalla propria “lista nera” dei Paesi a fiscalità privilegiata, presuppone necessariamente un deciso revirement del modo di considerare il Paese elvetico.
Questa inversione di rotta è imputabile a molteplici ragioni, tra le quali rientrano:
- il mutato contesto internazionale, sempre più proteso verso una reciproca integrazione anche sotto il profilo tributario;
- l’implementazione dei profili relativi allo scambio automatico di informazioni tra i vari Paesi europei ed extra Ue;
- la sempre maggiore diffusione e sottoscrizione di convenzioni contro le doppie imposizioni volte a evitare la sottrazione di materia imponibile agli Stati.
Da ciò discende che l’esclusione della Svizzera dai Paesi “black list” impone non solo di considerare quello Stato come una nazione non più connotata da un regime fiscale privilegiato, ma anche di considerarlo come uno “Stato amico” da ogni punto di vista, con il quale tessere rapporti di comunicazione, collaborazione, interlocuzione e monitoraggio costante anche a fini tributari.
Gli effetti d’ordine pratico e operativo dell’intesa Italia-Svizzera
Ma c’è di più. La cancellazione della Confederazione svizzera dall’elenco dei Paesi “black list” porta con sé effetti d’ordine pratico e operativo non di poco conto e che meritano di essere individuati sinteticamente.
In primo luogo, alla fuoriuscita del Paese elvetico dalla “lista nera” italiana corrisponde il venir meno della presunzione di fittizietà del trasferimento di residenza (con inversione dell’onere della prova) che fino ad oggi incombeva su chi, dall’Italia, avesse trasferito la propria residenza in Svizzera.
Se prima della prospettata eliminazione della Svizzera dalla “lista nera” incombeva sul contribuente l’onere di dimostrare (talvolta anche per mezzo di una “probatio diabolica”) l’effettività del trasferimento di residenza, la firma della dichiarazione congiunta tra Italia e Svizzera apre a uno scenario relazionale – tra Fisco e contribuente – connotato da maggiore normalità e ordinarietà, senza l’applicazione di presunzioni a vantaggio del Fisco.
Inoltre, l’uscita dalla black list determinerà l’impossibilità di applicare:
– il cosiddetto “raddoppio delle sanzioni” per le violazioni relative al monitoraggio fiscale;
– la presunzione secondo cui gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute in violazione delle norme sul monitaggio si considerano costituite mediante redditi sottratti a tassazione;
– le norme che regolano le segnalazioni fiscali, aventi ad oggetto i contribuenti con residenza nei paesi black list, sia quelle che regolano le segnalazioni di operazioni sospette.
La riduzione dei termini di accertamento tributario
In tale scenario, un ulteriore aspetto – anch’esso non di poco rilievo – inciso dall’uscita della Svizzera dalla “lista nera” italiana riguarderà la riduzione dei termini di accertamento tributario per le attività detenute oltre confine.
Se allo stato attuale, infatti, l’amministrazione finanziaria ha a disposizione in linea di massima 10 anni ai fini dell’accertamento, la cancellazione della Confederazione Svizzera dalla black list determinerà un ridimensionamento del termine a quello, ordinario, del 31 dicembre del 5° anno dalla dichiarazione.
Si tratta di un passo, dunque, che possiamo tranquillamente definire storico.
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