Lo scorso autunno il Governo elvetico ha preso atto che la procedura di consultazione sull’introduzione di una legge regolatrice svizzera per i trust ha dato esito negativo.
Di conseguenza, il Consiglio federale ha proposto al Parlamento di stralciare la mozione la cui implementazione avrebbe dovuto condurre all’adozione di una legislazione – civile e tributaria – volta alla regolamentazione del trust nell’ordinamento svizzero.
Il riconoscimento dei trust in Svizzera
Ciò non significa che in Svizzera i trust non potranno trovare riconoscimento: nell’ordinamento elvetico i trust saranno riconosciuti in virtù della Convenzione dell’Aja, ma dovranno fare applicazione di una legge regolatrice straniera (Jersey, San Marino, Bermuda, etc.) e non potranno avvalersi di una legge nazionale, con tutte le complessità che ne derivano (prime fre tutte le barriere linguistiche).
La richiesta di stralcio della mozione chiude un dialogo apertosi tempo fa.
Nel 2018 la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati aveva depositato la mozione n. 18.3383 recante la proposta di “introduzione del trust nell’ordinamento giuridico svizzero”, che incaricava il Consiglio federale di istituire le basi legali che permettano di introdurre nella legislazione svizzera una apposita legge regolatrice per i trust. Più precisamente, il progetto originariamente elaborato constava di due parti.
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L’istituzione del trust
La prima, di diritto civile, sull’istituzione del trust quale nuovo istituto giuridico nel Codice delle obbligazioni e altri adeguamenti del diritto civile. In termini più specifici, s’immaginò la creazione di un trust ad ampio campo di applicazione e con le caratteristiche essenziali di un’alternativa concreta agli strumenti esistenti nel diritto svizzero (si pensi alle fondazioni svizzere).
I profili fiscali del trust
La seconda, attinente ai profili fiscali del trust, proponeva di integrare nelle leggi fiscali un’esplicita normativa dei rapporti di trust, e prevedeva, nel caso del cosiddetto “irrevocable discretionary trust”, di imputare i redditi e i beni del trust al trust medesimo, che doveva essere trattato come un autonomo soggetto fiscale, alla stregua di quanto avviene in Italia per i cosiddetti trust opachi (ossia di quei trust in cui i beneficiari hanno una mera aspettativa di ricevere distribuzioni di reddito, senza poter vantare alcuna pretesa in termini di diritto soggettivo).
Nel quadro della procedura di consultazione, soltanto la parte relativa al diritto civile è stata esplicitamente sostenuta dalla maggioranza dei partecipanti. Al contrario, la parte dedicata al diritto tributario è stata respinta da un’ampia maggioranza.
Le (non) mosse del Consiglio federale
In questo scenario, il Consiglio federale ha deciso di non presentare all’Assemblea federale un messaggio relativo a un progetto di legge per l’introduzione del trust nell’ordinamento svizzero per via di due ordini di ragioni.
In primo luogo, e in generale, per via della “disfunzione della normativa”, che avrebbe fatto seguito, ad avviso del Consiglio federale, anche all’introduzione dell’istituto del trust.
In secondo luogo, è stata contestata la necessità di introdurre il trust nell’ordinamento svizzero per alcune ragioni peculiari:
- la cerchia potenziale dei beneficiari sarebbe limitata;
- in ogni caso sarebbero disponibili istituti alternativi;
- il trattamento fiscale del trust porrebbe difficoltà;
- il nuovo istituto potrebbe essere utilizzato per finalità non sempre meritevoli.
Con specifico riguardo ai profili fiscali dell’istituto, i soggetti partecipanti alla consultazione hanno ritenuto inaccettabile il sistema di tassazione dei trust previsto dall’avamprogetto, rifiutandosi di procedere all’approvazione dello stesso, perché tali proposte avrebbero rischiato di nuocere, si legge nel rapporto, all’industria svizzera e al settore finanziario nel suo complesso, ridimensionando, di fatto, l’attrattiva dei trust.
La mancata convergenza dei partecipanti al progetto sull’individuazione dei profili fiscali che avrebbero dovuto disciplinare l’istituto ha determinato, dunque, il venir meno della possibilità di assistere alla introduzione di una legge regolatrice all’interno dell’ordinamento elvetico.
Ciò anche perché, come sottolineato dal Consiglio federale in sede di consultazione, nel caso di un’introduzione del trust nel diritto civile, non si può rinunciare a una esplicita disciplina fiscale. Sicché sembrerebbe valere davvero il principio “simul stabunt simul cadent”, in ragione del quale le difficoltà nel trovare una disciplina unitaria del trust hanno pregiudicato l’istituto nella sua interezza condizionandone l’introduzione.
In questo scenario, la mancata implementazione dell’istituto in Svizzera può rappresentare (finalmente) un’ulteriore occasione per agire concretamente, nel senso di fornire una disciplina organica dell’istituto in Italia.
Il trust nell’ordinamento italiano
Il nostro ordinamento già da tempo, infatti, s’interessa – e molto – dei profili civili e fiscali del trust.
Con specifico riguardo ai profili fiscali relativi all’applicazione dell’istituto, basti pensare, da ultimo, alla straordinaria risonanza avuta dalla Circolare 34/E del 20 ottobre 2022 dell’Agenzia delle entrate, con la quale l’Amministrazione ha fornito chiarimenti in tema di imposte dirette, in particolare sulle attribuzioni a favore di soggetti residenti in Italia, provenienti da trust stabiliti in giurisdizioni che si considerano a fiscalità privilegiata, in tema di imposta sulle successioni e donazioni (adeguandosi l’Agenzia all’orientamento della Cassazione), nonché in merito agli obblighi di disclosure degli assets detenuti all’estero (monitoraggio fiscale).
Straordinaria risonanza, appunto, dovuta al fatto che mancano prese di posizione ufficiali dell’ordinamento, salvo alcune specifiche norme fiscali.
In tal senso, la definizione di un contesto ordinamentale organico e sistematico, ove l’istituto del trust sia razionalizzato, potrebbe rappresentare un’occasione importante e unica, anche nella prospettiva di attrarre nuovi investimenti e nuove allocazioni di ricchezza.
Ciò, peraltro, anche alla luce di un contesto giuridico, come quello italiano, in cui il quadro delle imposte sulle successioni e donazioni, e la presenza di alcuni regimi attrattivi nei confronti delle persone fisiche dotate di certi patrimoni (anche per le imposte sui redditi), rendono il nostro Paese altamente competivo rispetto ad altri.